Roma, 22 marzo 2024 – C’è chi parla di una ‘rivoluzione silenziosa’ già in atto e chi, al contrario, sostiene che proprio il settore della logistica e trasporti sia tra quelli maggiormente in grado di rispecchiare la disparità di genere, dominante nel nostro Paese e, sia pur in misura minore, nel resto d’Europa. Secondo i dati resi noti di recente da Istat, le donne che lavorano nel settore dei trasporti e della logistica rappresentano solo il 22% del totale: 222.000 addette contro quasi 800.000 uomini. La media europea è pressoché in linea con quella nazionale (21,8%). Eppure, qualche timido segnale di cambiamento c’è.
Cosa sta cambiando
In Italia si contano 14mila donne alla guida di mezzi, anche pesanti, per il trasporto merci. L’impresa Italmondo Spa, specializzata da oltre 65 anni nella fornitura di servizi logistici sul territorio nazionale e internazionale, vanta, ad esempio, oltre il 40% di forza lavoro femminile, distribuita in vari comparti aziendali: dalla movimentazione merci alla pianificazione, fino alla progettazione e amministrazione aziendale. Al di là dei singoli casi virtuosi, le indagini sul settore confermano che il trend ‘rosa’ è in decisa crescita: secondo un’analisi della società di ricerca Loriga&Associati, il numero di donne, anche in ruoli di grande responsabilità e in aziende multinazionali della logistica, è aumentato di più del 30% negli ultimi cinque anni.
L’abbattimento degli stereotipi
Neanche troppi anni fa era ancora radicata la convinzione che le donne fossero poco adatte ai lavori manuali e pesanti, oppure poco disponibili a lavorare su turni e a viaggiare per ore alla guida di mezzi. Ma con l’avvio, in Europa, di politiche sempre più orientate alla riduzione del gap di genere nei contesti lavorativi, anche i comparti storicamente maschili si stanno lentamente trasformando. Oggi è sempre più frequente imbattersi in figure di riferimento femminili nell’ambito del planning dei trasporti o in quello della formazione e sviluppo di capitale umano. Non solo: il famoso premio ‘Sabo Rosa’, giunto ormai alla quindicesima edizione, è la conferma di quanto sia cresciuta, negli anni, la componente femminile nella filiera italiana dei trasporti. Il riconoscimento, istituito grazie a un’iniziativa del gruppo bolognese Roberto Nuti, attivo dal 1962 nel settore dei ricambi per veicoli industriali, premia la ‘camionista dell’anno’, in occasione dell’8 marzo. Nel 2024 sono state 18 le candidature, pervenute da un capo all’altro del Paese.
Ma il divario di genere pesa ancora in molti settori
A proposito di lavori tradizionalmente considerati ‘da uomini’, anche nel settore dell’ingegneria il divario è evidente, soprattutto dal punto di vista delle retribuzioni. Secondo i dati recentemente diffusi dal Cni (Consiglio nazionale degli ingegneri), se è aumentata considerevolmente la presenza femminile tra i laureati magistrali in ingegneria (nel 2010 le donne rappresentavano il 23% del totale; nel 2021 sono salite al 30,8%), nonché fra gli iscritti all’Albo degli ingegneri (17%, contro il 9% del 2007), le differenze di trattamento salariale sono eclatanti. Stando agli ultimi disponibili, risalenti al 2021, tra gli ingegneri iscritti a Inarcassa, gli uomini registrano un reddito medio di 44.459 euro, mentre le donne presentano un reddito medio di 26.083 euro (-48%). Gli architetti iscritti a Inarcassa registrano un reddito medio annuo di 33.525 euro, a fronte dei 20.748 euro registrati dalle colleghe (-38%). Il gender paygap di tutti i liberi professionisti iscritti alle casse private si attesterebbe attualmente, secondo i dati Adepp (Associazione enti previdenziali privati), al 44%.
Le ragioni del divario
Le motivazioni della disparità sono ben note: più degli uomini, la stragrande maggioranza delle donne deve cercare di conciliare il tempo di lavoro e quello della cura parentale, scontando così la sostanziale mancanza di servizi alle famiglie, asili nido e altre attività di sostegno, soprattutto a beneficio delle coppie giovani e residenti lontano dalle famiglie di origine.