Venerdì 30 Agosto 2024
CLAUDIA MARIN
Economia

Addio botteghe, centri storici deserti. In dieci anni spariti 111mila negozi

I dati Confcommercio confermano la desertificazione delle nostre città. Anche per effetto dell’e-commerce. Crollo delle attività tradizionali, crescono i servizi di alloggio e ristorazione e le aziende gestite da stranieri.

Addio botteghe, centri storici deserti. In dieci anni spariti 111mila negozi

Addio botteghe, centri storici deserti. In dieci anni spariti 111mila negozi

L’inverno demografico in Italia non riguarda solo la natalità in senso stretto, ma anche i negozi e le botteghe dei centri storici, dei quartieri delle città e dei paesi. E, anzi, sono molteplici i fattori che legano le due tendenze: tanto che spopolamento e desertificazione commerciale urbana e rurale vanno di pari passo, soprattutto nei piccoli centri. Così come è evidente il nesso tra chiusura delle attività fisiche di vendita e sviluppo dell’e-commerce: gli acquisti su Internet sono quasi raddoppiati passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023.

A indicare i numeri aggiornati e la mappa territoriale delle saracinesche che sono state abbassate per sempre negli ultimi dieci, undici anni è l’Ufficio studi di Confcommercio nella ricerca presentata ieri. Tra il 2012 e il 2023, in Italia, sono spariti oltre 111mila negozi al dettaglio (uno su 5) e 24mila attività di commercio ambulante, mentre sono in crescita le attività di alloggio e ristorazione (+9.800). Il che rinvia all’altra tendenza che, specie nelle grandi città e in quelle turistiche, si sta rivelando come il fenomeno del decennio: la trasformazione di quelle aree in un immenso bed & breakfast (attività di alloggio, +42%) con contigui locali, lungo strade e vicoli, destinati alla ristorazione (+2,3%) e allo street food, non solo della tradizione italiana, ma anche straniera.

Ma, nel cambio di pelle del tessuto commerciale e, dunque, sociale e umano di rioni e borghi rientra anche la diminuzione accentuata e crescente delle attività tradizionali (carburanti -40,7%, libri e giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e l’incremento dei servizi e delle strutture di vendita dedicate alla tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%).

Come nel caso della natalità, anche per le attività commerciali svolgono un ruolo gli immigrati. In poco più di dieci anni, nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi si riducono le imprese italiane (-8,4%) e aumentano le straniere (+30,1%). E metà della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+242mila occupati) è proprio in questi settori (+120mila). La riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, sia per il Centro-Nord sia per il Mezzogiorno. Nei 120 comuni al centro dell’analisi, negli ultimi 10-11 anni, sono sparite oltre 30mila unità locali di commercio al dettaglio e ambulanti (-17%) e la densità commerciale è passata da 12,9 negozi per mille abitanti a 10,9 (-15,3%).

Si capisce, dunque, come, nel complesso, il trend preoccupi i vertici della principale associazione del commercio e del terziario. "Prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città – avvisa Carlo Sangalli, numero uno di Confcommercio – un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante. Il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale".

Ma come reagire a quello che rischia di cambiare anche la struttura sociale, urbanistica e antropologica delle nostre città e dei nostri paesi? Per gli esperti di Confcommercio il commercio di prossimità deve puntare su efficienza e produttività, anche attraverso l’innovazione e la ridefinizione dell’offerta: resta fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche di un canale online ben funzionante. Per il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, occorrono, però, anche due misure fiscali e regolamentari che possono invertire la rotta: il superamento delle regole contrattuali, che ingessano le locazioni non abitative, e l’introduzione della cedolare secca per gli affitti commerciali, prevista dalla riforma fiscale approvata dal Parlamento, ma non ancora attuata.