"Un pazzo, un nazista". Solo parlando di Vladimir Putin il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbandona gli strumenti della diplomazia. Al vertice dei leader dell’Unione europea – dove sono stati messi sul piatto per Kiev 18,1 miliardi di euro come contributo europeo alle esigenze di bilancio, militari e di ricostruzione, sostenuti dalle entrate derivate dai beni russi congelati – la posta in gioco è quella del sostegno all’Ucraina e le prospettive realistiche di un piano di pace, né più né meno. E allora i temi non possono che essere quelli delle garanzie di sicurezza per il Paese aggredito e – con lo sguardo proiettato verso il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca – quello, cruciale, di mantenere l’unità d’intenti tra Usa ed Europa:
"Io credo che le garanzie di sicurezza europee non saranno sufficienti: per noi la vera garanzia, ora o nel futuro, è la Nato. E la Nato dipende dalle decisioni prese da europei e americani", incalza Zelensky. Sì, è una partita in cui ognuno pesa le mosse degli altri, in una partita in fondo alla quale c’è l’ipotesi di una trattativa dove l’affermazione di mercoledì del presidente ucraino sull’impossibilità di riconquistare Crimea e Donbass forse ha fatto da detonatore ad una nuova dinamica.
Al centro del campo c’è, ovviamente, lo stesso Zelensky: "Alla riunione del Consiglio ho sottolineato che Europa e America devono essere al tavolo delle trattative quando sarà il momento. L’Ue, come l’Ucraina, deve partecipare ai colloqui da una posizione di forza. Solo sforzi coordinati possono portare una pace duratura, non una pausa che Putin sfrutterebbe per guadagnare tempo", ha poi incalzato il presidente ucraino su X. E ancora: "Non posso discutere pubblicamente" di opzioni come quella delle forze di peacekeeping, perché non c’è ancora alcuna decisione: c’è una certa volontà politica e la totale comprensione che Putin non si fermerà. Non posso parlarne finché non ci sarà una decisione comune dell’Europa".
È una posizione sulla quale Zelensky trova una sponda in Donald Tusk: "Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’Ue abbia bisogno di relazioni più forti possibili con gli Usa per garantire reali garanzie di sicurezza: la maggior parte dei Paesi europei è allineata – assicura il premier polacco –. È essenziale che l’Ucraina migliori la sua posizione prima che si svolgano negoziati di pace".
Una partita complessiva che si proietta ovviamente anche verso Washington: in questo caso il messaggero è Olaf Scholz, che ieri ha telefonato a Trump. "La guerra dura da troppo tempo", si sarebbero detti d’accordo il cancelliere e il tycoon stando ad una nota del governo tedesco. Su X Scholz ha aggiunto che "durante la conversazione abbiamo concordato che è importante intraprendere il percorso verso una pace giusta per l’Ucraina il prima possibile".
Di nuovo un’eco a Bruxelles nelle parole di Zelensky: "Trump è una persona forte, è importante che sia dalla nostra parte e ci aiuti a fermare la guerra". Al tempo stesso l’uomo di Kiev ha necessità di ribadire di che pasta sia fatto l’inquilino del Cremlino. "È pericoloso per tutti. Penso sia pazzo e credo che anche lui sappia di essere pazzo e che ama uccidere – affonda il colpo –. Voleva privarci del nostro futuro, della nostra indipendenza, toglierci il nostro esercito: ma questo non è un accordo".
Al tempo stesso, se sul sostegno all’Ucraina l’Ue si sforza di mostrare coesione, nella pratica le cose si fanno più difficili. Le conclusioni adottate al termine del Consiglio europeo parlano di "incrollabile impegno a fornire continuo sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare diplomatico all’Ucraina e al suo popolo per tutto il tempo necessario". Il fatto è però che sulla questione della forza di interposizione non sembra esserci ancora un’intesa. Molti dei leader arrivati a Bruxelles affrontano il tema con cautela. "Vogliono vedere come va la discussione su una possibile tregua e quali sono gli sviluppi sul terreno", si sussurra dietro le scene a Bruxelles. Insomma, la strada di una trattativa forse si è aperta. Ma rimane impervia. E questo lo sanno tutti, a Bruxelles come a Washington, a Berlino come a Kiev.