L’aggancio? "A Turks e Caicos, paradiso atlantico sotto le Bahamas, in una villa di comuni amici". La confidenza? "Grazie a passeggiate mattutine o serali quando non avevamo più voglia di nuotare o di partite a carte". Tra tanti sedicenti esperti di casa Savoia, Alessandro Feroldi, bresciano giramondo di 75 anni – marito di Francesca Calissoni Bulgari –, è giornalista dalle frequentazioni realmente altolocate. Il suo Lampi di vita. Storia di un principe in esilio (Rizzoli, 2002), oggi chicca da bancarella, rivela la dimensione pubblica e privata di Vittorio Emanuele: tra nostalgie di rango e improvvise cadute, quel percorso giunto al capolinea oggi si presta a una rilettura.
Chi era davvero il figlio dell’ultimo re d’Italia?
"Un uomo privo di malizia e con sorprendenti tratti di ingenuità. Non arrogante, al di là delle apparenze. A volte collerico, ma molto più spesso cordiale".
Disponibile a raccontarsi?
"Nella trattativa per il libro emerge una sola precondizione, dettata dagli avvocati: non parlare del caso Dirk Hamer. Per il resto, ricordo una decina di colloqui molto intensi, con descrizioni nitide di fatti e stati d’animo. Lo sa? I maschi Savoia sono noti per una straordinaria memoria".
Cosa affiora da quegli incontri?
"Un italiano unico nel suo genere. Un bambino traumatizzato dall’esilio e dalla messa al bando estesa agli eredi. Cresciuto secondo lo stile di casa, ma capace di improvvise virate – vedi matrimonio con la borghese Marina Doria. Attaccato al marchio di famiglia, ma anche alla carriera tra affari e finanza nella Svizzera più algida. Traviato nella percezione di sé da nostalgie e rotocalchi".
E poi, dopo il permesso al rientro in Italia del 2002?
"Un uomo fuori contesto. Anche così si spiegano disavventure giudiziarie e cadute come l’inchiesta di Potenza da cui alla fine esce pulito. I problemi nascono quasi sempre dalla mancanza di una reale comprensione del Paese. Perché la sua è un’Italia idealizzata, raccontata in famiglia, vissuta attraverso contatti di élite, da ragazzo, con i rampolli che in Svizzera frequentano il collegio Le Rosey . Che può saperne degli italiani che lavorano, studiano, contestano e fanno i conti con le aspirazioni e le inefficienze del Paese?"
Le espressioni in foto raramente trasmettono felicità.
"Determinante lo choc vissuto da bambino. Abita al Quirinale con le sue milletrecento stanze. Per volontà di mamma Maria José, gran donna, frequenta le elementari alle Montessori in un ambiente romano aperto e stimolante. Vive come nessun altro bambino in Italia. Poi a 9 anni, a Napoli, la città di cui sarebbe principe, si ritrova su un incrociatore. Sbattuto a Cascais, in Portogallo, con un padre – Umberto II – privato di ogni funzione. Il successivo trasferimento in Svizzera restituisce alla famiglia agio e rango, ma la vicinanza geografica all’Italia aggrava il trauma del bando".
I rotocalchi ci marciano. E lui appare ancora più superbo.
"Vittorio Emanuele è un prodotto della storia. Quella con la maiuscola. E la sua. Mettiamoci ancora nei suoi panni. Alle ottime scuole abbina la disciplina di Casa Savoia. Impara a sciare con Zeno Colò. A fare immersioni con Jacques Cousteau. A volare coi migliori istruttori. Ha parenti tra i regnanti di mezza Europa. Ha successo negli affari ma, molto influenzato dalla moglie, continua a vivere l’esilio come una ferita".
Neppure da adulto se ne fa una ragione?
"Considera le ragioni del bando una torsione. Quando nel 1938 vengono approvate le leggi razziali, lui è un bambino di un anno. E quando nel 1957 Gaetano Azzariti, napoletano come lui e già presidente della Commissione sulla razza durante il regime fascista, diventa presidente della Corte costituzionale, l’esilio gli appare ancora più ingiusto".
Difatti, nella tragica notte del 1978 all’Isola di Cavallo in cui spara per difendere il gommone, urla «italiani, vi ammazzo».
"Appunto".
Poi nel 2002 giura fedeltà alla Costituzione.
« Però nel 2007 chiede 260 milioni di risarcimento all’Italia e nel 2022 la restituzione dei gioielli di famiglia".
Come nasce questa retromarcia?
"Ci sono famiglie nobili e fortunate alle quali le ricchezze non sembrano mai abbastanza. I Savoia sono tra queste".