Roma, 12 settembre 2022 - La mente come ragione di vita. Lo psichiatra Vittorino Andreoli, 82 anni, ha dedicato tutto se stesso allo studio della psiche umana, entrando in una confidenza quasi mistica coi grandi serial killer italiani e, stabilendo con loro un canale di comunicazione unico, ha ricevuto confidenze memorabili. Da Bilancia a Maso, da Profeta a Chiatti, fino al Mostro di Firenze: una carriera, per i ‘matti’ e al servizio della giustizia psichiatrica, che lo ha portato a contatto con il male più profondo, quell’orrore che improvvisamente diventa umanità.
Professore, avendo lei immagazzinato così tanta violenza e sofferenza, ha mai avuto crolli mentali? "No, anche se ho dedicato mesi per ogni caso: era il mio laboratorio per capire la mente umana. Io non facevo il perito, nel senso letterale del termine, ma creavo una vera relazione per farmi raccontare le storie dai criminali più efferati. Gli dedicavo tempo. Pietro Maso in carcere una volta mi disse: “Va bene professore, ho fatto una cavolata... Ma basta adesso, è ancora qua?!“".
Pietro Maso uccise per soldi i genitori. "Aveva uno sguardo che non dimenticherò mai", ha detto. Crede che si sia mai pentito di ciò che ha fatto? "Sembra che dopo 6 o 7 anni dai delitti si sia pentito. Non subito. Comunque sia, è difficilissimo per un killer il pentimento: ripeto, è la dimostrazione della propria massima potenza".
Lei tenta sempre di dare una spiegazione all’orrore, di capire cosa passa per la testa di un assassino seriale? "Io non ho mai voluto farmi pagare per le ore e ore che stavo coi detenuti, non mi importava, volevo creare la fiducia. Il killer dei tassisti, Profeta, confessò a me i delitti in cella. Io gli dissi: grazie, ma per avere valore deve dirlo in tribunale e deve farlo, altrimenti si metterà contro di me. Quando andai a deporre al processo, rivelai che Profeta aveva confessato e aggiunsi “ora sono certo che lo farà anche con voi, qui“. Ci fu un silenzio assordante in aula. Poi Profeta confermò tutto. Quando lo incontrai la prima volta, aveva in mano la Bibbia e cominciammo a discutere di ogni capitolo. Io non ho mai trovato mostri, spesso i mostri sono i periti".
Cosa significa uccidere? "Il serial killer è uno che ammazza spinto da un bisogno. Uccidere infonde una sensazione titanica: c’è la percezione che un’altra persona dipende totalmente da te. Ti senti un piccolo Dio. Generalmente sono persone frustrate, che non hanno una vita gratificata e vogliono potere".
L’ex profiler dell’Fbi John E. Douglas sostiene che i serial killer hanno tratti comuni. Nell’adolescenza spesso sono piromani, si fanno la pipì a letto o seviziano animali. "Non sono d’accordo: l’identikit del serial killer non si può fare. Io ne ho conosciuti di importanti, sono tutti diversi, anche se hanno comportamenti liturgici criminali simili. Uccidono senza un motivo reale, per il piacere di uccidere".
Lei ha analizzato i disegni di Pietro Pacciani. Che idea si è fatto sulla sua colpevolezza? "Quei disegni raccontavano una grande violenza. Ma il mio compito era capire, non giudicare".
Il suo rapporto con Donato Bilancia è antologico. Cosa aveva di affascinante quell’uomo? "Con lui è stata una corsa dentro l’umanità del male. Ho cercato di capire la sua personalità e ho trovato un uomo molto intelligente. Lui violava le grande dimore, era uno scassinatore abilissimo, riusciva a ‘guadagnare’ un miliardo all’anno. Se lo chiamavi ladro si offendeva, perché era un grande scassinatore. Negli anni ‘90 nel mercato entrarono nuove serrature dalla Germania e gli scassinatori andarono in crisi: lui si fece assumere da questa azienda tedesca scoprendo il metodo per scardinare con facilità la nuova serratura. Bilancia aveva perduto il suo nipotino sotto un treno e quando vedeva un bambino diventava un altro uomo. Non a caso, l’ultima vittima che voleva uccidere gli mostrò la foto del figlio e lui si fermò".
Che società ha prodotto l’era del Covid? "La pandemia ha mostrato la vera globalizzazione, che è quella della paura. Questo virus ha creato due risposte: da un lato, ha aumentato la paura e l’insicurezza; dall’altro, ha messo in mostra i paranoici che vogliono conquistare il mondo".
A proposito di questo, come si esce dalla guerra di Putin? "Il presidente della Russia è un dittatore e ha una personalità paranoide. Il problema è molto grave: trovo difficile che quest’uomo accetti la sconfitta e credo che piuttosto di perdere, userebbe l’arma atomica. Tutte le volte, infatti, che l’Occidente pare sul punto di vincere il conflitto, io tremo".
Il 25 settembre andrà a votare o entrerà nel grande partito degli astensionisti? "In una democrazia vera bisogna che tutti vadano alle urne, ma servono anche persone che si possano votare. Se si è selezionato il peggio, da anni, non basta avere diritto al voto, quando non c’è la persona con cui sia facile trovare una identificazione".
Quale persona ha amato di più nella vita? "Mio padre, e continuo ad amarlo. Faccio parte della ‘religione degli antenati’. Lui è il mio eroe, nello studio non tengo altri ritratti se non il suo. È un amore come identificazione".
Se ne avrà la possibilità, cosa dirà sul letto di morte? "Ci ho pensato a lungo. Spero di poter pregare e di dire “Dio, io non ti ho conosciuto, ma se fosse successo, avrei fatto ciò che tu avresti chiesto“".
Che rapporto ha col sesso? "Non sono un eroe del sesso, anche se mi leva mezza appartenenza da italiano latino. Nell’adolescenza non ero molto appassionato alle donne, poi all’università ho conosciuto una ragazza simpatica che studiava con me e l’ho sposata: stiamo ancora insieme dopo 54 anni. Trovo che il sesso sia faticoso, preferisco altro. Le donne mi piacciono, però. Pensi, all’università c’era un amico che aveva capito che non sapevo tanto delle donne e mi insegnò a comprendere se una ragazza aveva delle belle gambe oppure no".
Di cosa ha paura? "Della morte, la odio. Ho tanto ancora da fare".