Roma, 24 novembre 2023 – Avvocato Mattia Alfano, che cosa ha capito nei suoi 21 anni di penale difendendo le donne vittime di violenza e i carnefici, ad esempio chi è stato accusato di stupro?
"Lavorare anche come legale dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime mi permette di avere una doppia visione. Posso dire questo: capita il raptus improvviso ma è davvero rarissimo. Quello che invece si ripete costantemente è l’escalation, che inizia con una mania di controllo e di supremazia che probabilmente esisteva anche prima, quando la coppia stava insieme”. Ha meno di 35 anni una volta su due, è italiano nel 60% dei casi. Giorni fa è uscito questo ‘identikit’ dal tribunale di Milano sulla violenza contro le donne.
“Confermo, questa fotografia rispecchia anche quello che ho trovato nel corso della mia esperienza. E queste percentuali meritano una riflessione: certi tipi di persone provocano determinati campanelli d'allarme. Che invece in altri casi si abbassano o non scattano proprio”.
Se dovesse tracciare una scala del pericolo?
"Il vero punto di rottura è quando si arriva al contatto fisico”.
Eppure anche la violenza psicologica può provocare effetti devastanti.
"Vero, ma quando si usa la forza, succede che l’impunità del primo gesto porta sempre allo step successivo. Quando si arriva alla violenza fisica, difficilmente si torna indietro e ci si ferma a quel contatto”.
All’origine cosa c’è?
"Il bisogno di controllo. Fisico o virtuale, molto via social, ad esempio ‘spiando’ i commenti, gli accessi su WhatsApp… Poi subentra il pedinamento, ci si fa trovare ad esempio sul luogo di lavoro. Il passaggio successivo è il divieto tipo: “Non ti azzardare ad andare a ballare anche se non stiamo più insieme”. Succede davvero molto spesso”.
Infine si passa alla violenza fisica?
"All’inizio magari è una spinta, uno strattonamento, uno schiaffo o uno sputo… Anche l’aggressione verbale è un’aggravante ulteriore. Che precede quella fisica, con l’intenzione di fare male. Penso anche agli stupri. Sì, ho difeso uomini accusati di questo reato”.
Non ha mai avuto la tentazione di rinunciare alla difesa?
"No, perché mi sono sempre ricordato di quel che diceva il mio presidente della Camera penale quando ho iniziato la professione. L’avvocato solo incidentalmente difende il cliente; ogni volta difende i diritti”.
In base alla sua esperienza, in che percentuale di casi si arriva alle condanne?
"In oltre la metà, sicuramente. In questi ultimi anni c’è stata una sensibilità maggiore. Ma paghiamo lo scotto di un sistema che dà una risposta sempre tardiva, bisogna aspettare il terzo grado di giudizio. Quindi la vittima, a differenza di quel che accade in altri ordinamenti, non vede il carnefice scontare la condanna, se non dopo molti anni. E questo è un problema. Anche perché chi commette il reato continua a sentirsi impunito”.
Clicca qui se vuoi iscriverti al canale WhatsApp di Qn