di Viviana Ponchia
"Siamo tutti lupi cattivi in una storia raccontata male". La direttrice del piccolo asilo di ispirazione cattolica incassa con poca convinzione la sentenza del giudice Modestino Villani che la condanna a un anno e un mese per violenza privata e diffamazione. E con lei la mamma di un’alunna, forse un altro lupo, colei che aprì le danze: "Ha visto queste foto?". Cose intime, private. Che tali sarebbero rimaste se un fidanzato non le avesse diffuse sulla chat del calcetto. La ragazza bionda inquadrata dall’obiettivo ha aspettato quasi tre anni. Licenziata, dimagrita, depressa. Non è Cappuccetto Rosso e non crede più alle favole: "Sono sollevata, la verità è uscita fuori. So che andranno avanti facendo ricorso ma almeno abbiamo messo un punto fermo. Nessuno mi ha mai chiesto scusa e ancora adesso per colpa di questa vicenda non ho più trovato lavoro. Voglio solo tornare a fare la maestra". L’ex fidanzato aveva già chiesto e ottenuto un anno di messa alla prova. La mamma spiona, condannata a un anno con pena sospesa, aveva fatto pressioni sulla maestra perché non sporgesse denuncia. La direttrice temeva di vedere infangato il nome della scuola. Di perdere le rette. Una gogna per la vittima, aveva detto il magistrato. Per mesi l’insegnante non era uscita di casa. Non mangiava, non si lavava. La madre era costretta a buttarla giù dal letto e a infilarla a forza nella doccia. Fuori il mondo era crollato.
Vent’anni, vittima di revenge porn. Non più maestra, solo il nulla dietro curriculum spediti invano dopo essere stata costretta a dimettersi. Una poco di buono. "Questa sentenza è importante e dimostra che nessuno, tantomeno le donne, deve essere giudicate per quello che fa in camera da letto – dicono gli avvocati della maestra Dario Cutaia e Domenico Fragapane –. Non siamo più nell’800 e non c’è nessuna lettera scarlatta". Brutta storia alle porte di Torino. Una vera e propria gogna l’aveva definita il pm Chiara Canepa. Racconta la maestra: "La direttrice mi disse che se non l’avessi fatto io l’avrebbe fatto lei. Ma a quel punto avrebbe dovuto scrivere anche il motivo del mio licenziamento. Che sarebbe stato un marchio per tutta la vita. Mi disse che non avrei più trovato lavoro nemmeno per pulire i cessi di Porta Nuova". Lacrime. La giovane prima accetta, poi decide di non convalidare le dimissioni. Racconta in aula: "E’ stato terribile, non mi sono mai sentita tanto umiliata". L’audio choc spedito dalla direttrice alle altre maestre della scuola viene fatto ascoltare in aula: "Per favore, cercate di indurla a fare qualcosa di sbagliato. Qualsiasi cosa succeda mi chiamate e io lo prendo come pretesto per mandarla via. Fatemi ‘sta cortesia, io non so più cosa fare".
E ancora: "Sarà una guerra durissima: con lei ce l’ho a morte, non voglio più vederla". Il senso era chiaro: la maestrina doveva andarsene, con le buone o con le cattive. "Non volevo licenziarla – si era difesa la direttrice – E’ stata lei a raccontarmi tutto al mattino e a dirmi che era successo un pasticcio, che non poteva più lavorare e si vergognava a guardare in faccia i genitori dei bambini perché tutti sapevano". Aveva insistito: "Continuava a cambiare versione sulle sue dimissioni e per questo, non per le foto, si è rotto il rapporto di fiducia con lei. Mi ha accusata di essere bugiarda. Ho mandato quei messaggi in chat perché ero arrabbiata e mi è partito l’embolo".