Mercoledì 22 Gennaio 2025
CLAUDIA MARIN
Cronaca

Vergogna università, Italia ultima in Europa

Il nostro Paese investe il 16% del Pil nelle pensioni ma solo lo 0,3% negli atenei. E come numero di neolaureati superiamo solo la Romania

di Claudia Marin

Un Paese che spende per le pensioni oltre 50 volte di più rispetto a quanto investe nell’istruzione universitaria. Un Paese che destina alla formazione cosiddetta "terziaria" lo 0,3% circa del Pil, la percentuale più bassa in ambito Ue, contro il 15-16% (addirittura il 17%, stando alle ultime stime della Ragioneria dello Stato per il 2020, un record) impiegato per il pagamento dei trattamenti previdenziali. Un Paese che si ritrova ai primi posti dell’Ue per numero di assegni pensionistici erogati e agli ultimi per consistenza di studenti universitari: addirittura penultimi per laureati, appena prima della Romania. L’Italia non è un Paese per giovani, ma la terra dei pensionati, dei lavoratori "anziani" garantiti e dei loro diritti acquisiti. E la pandemia non ha fatto altro che accentuare questa tendenza in atto da qualche decennio.

Sono i giovani tra i 15 e i 34 anni le principali vittime sociali dell’emergenza Coronavirus: come ha sottolineato proprio ieri il Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, la stragrande maggioranza di coloro che hanno perso reddito e lavoro in questi mesi appartengono a quella fascia di età. È la generazione della doppia recessione globale. Quei cosiddetti old millennials, travolti prima dalla grande crisi del 2008-2014 e colpiti in pieno, oggi, insieme ai loro "fratelli minori" dalla depressione del Coronavirus. C’è chi ha visto scadere e non rinnovare il proprio contratto a termine e chi lavorava a partita Iva e non ha visto più un euro di compenso per il venire meno dei committenti. Mentre padri e fratelli maggiori, quelli assunti in modo più stabile, sono almeno stati protetti dallo scudo del blocco dei licenziamenti.

Insomma, come hanno spiegato la sociologa Chiara Saraceno e il demografo Alessandro Rosina, le imprese, invece di puntare sul capitale umano e sulla capacità di innovazione delle nuove generazioni, sono state incentivate a competere utilizzando le leve della precarietà e del basso costo del lavoro a carico dei nuovi entranti. "E a pagarne il costo – ha osservato la Saraceno – sono stati appunto soprattutto i giovani". Ma questi ultimi si sono ritrovati, e anche in questo caso la pandemia è solo un’aggravante, a pagare il prezzo più alto anche sul fronte dell’istruzione universitaria: del resto, mercato del lavoro, mobilità sociale e formazione sono strettamente correlati.

Basta mettere in fila i numeri dell’ultima ricerca Agi-Censis: nel 2019-2020 si è confermato l’incremento di nuove matricole negli atenei italiani (+3,2%) e il trend è continuato, secondo le anticipazioni del Ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, anche in questo terribile anno. Ma resta tanto da fare per colmare il gap che ci separa dai grandi Paesi europei. Servirebbero, infatti, 7.000 immatricolati in più ogni anno per essere in linea con la media europea. Il risultato è che l’Italia è penultima nel continente per numero di giovani laureati: nel 2019 siamo al 27,7% del totale, 13,1 punti in meno rispetto alla media Ue 28, pari al 40,8%.

Non c’è da stupirsi se è vero che il nostro Paese spende per il settore, come nel 2018, lo 0,3% del Pil, meno che in tutti gli altri 27 Stati membri dell’Ue. E se è vero che solo l’11,7% degli iscritti è risultato beneficiario di una borsa di studio. Al contrario, restiamo saldamente ai primi posti per spesa previdenziale: intorno al 16% sul Pil, contro il 9,5% della Germania, il 12% della Spagna, il 15% della Francia, con un trend di crescita che ci porta al 18-20% al 2040, mentre gli altri calano. E questo grazie anche a Quota 100 e ai miliardi spesi per l’anticipo delle pensioni.