CON L’ACIDO si chiama «vetriolage». Termine agghiacciante fra il gabinetto di estetica e quello del dottor Mabuse. La premeditazione è scontata come nel caso del sempre raccomandabile «savonage» di un hammam berbero: bisogna procurarsi gli ingredienti giusti, nessuno gira con sapone nero aromatizzato alla rosa o bottigliette di liquido corrosivo tanto per riempirsi le tasche. Con la benzina si fa prima, trovare da accendere è un attimo, ma si tratta pur sempre di violenza studiata a tavolino. E dunque è successo. Dal primo caso segnalato nel 1967 alla tragedia di Lucia Annibali e più in là, una parte di bipedi di sesso maschile ospiti del pianeta ha deciso che per punire altri bipedi di sesso femminile l’importante è seguire uno schema e evitare l’improvvisazione. La morte è troppo semplice e liberatoria e procura una soddisfazione effimera. La sfigurata ha invece tutto il tempo per soffrire e riflettere, lo sfregio permanente le impedirà di nascondersi in qualche vecchio ritaglio di giornale e il suo autore potrà goderne in eterno.
L’ACID Survivors Foundation raccoglie denaro per ridare un sorriso alle vittime dei paesi sottosviluppati. Noi che sullo sviluppo crediamo di sapere tutto siamo ancora qui a sorprenderci ogni volta che accade. Sembra sempre l’ultima, passa qualche mese e un nuovo imbecille si lancia nell’impresa. Emulazione. Ma basta davvero una suggestione da telegiornale per architettare un attacco irrimediabile sulla pelle di una donna? Chi getta acido o dà fuoco colpisce in maniera contorta, un po’ mafia russa e un po’ resa dei conti pakistana dove l’alternativa più pratica al vetriolo è da sempre il kerosene (e il rischio che questo faccia venire strane idee c’è). Non manca al vigliacco il coraggio di diventare assassino, qui c’è più tecnica e anche più fantasia, motivo per cui la pena dovrebbe essere almeno doppia. Dove hanno imparato? In Bangladesh dove risiedono i supremi alchimisti dell’acidificazione, sulle strade di Islamabad? Il mondo è pieno di donne fantasma con un buco al posto del naso ma pensavamo a spettacolarizzazioni da documentario del National Geographic. Invece questo orrore ci appartiene con tutto il suo valore simbolico. Sta nelle piazze d’Italia o in un sottoscala e ogni volta rinnova il disgusto di doverlo raccontare ancora.