Venerdì 8 Novembre 2024

Vajont, 55 anni fa la tragedia della diga. Mattarella: "Morti e distruzioni evitabili"

Il 9 ottobre del 1963 quasi duemila persone persero la vita a causa della gigantesca frana che precipitò nella diga sollevando tre onde colossali. Il presidente della Repubblica: "L'Italia non dimentica"

La diga del Vajont

La diga del Vajont

Roma, 9 ottobre 2018 - Il 9 ottobre di 55 anni fa si consumò quella che passerà alla storia come la tragedia della diga del Vajont. Alle 22.39 oltre 270 milioni di metri cubi di roccia si staccarono dal monte Toc e precipitarono nel bacino artificiale sottostante sollevando tre onde colossali. Due onde si schiantarono sulle pareti della vallata circostante. La terza strappò via la strada che coronava la diga e si scagliò a valle, verso Longarone. Quasi duemila persone vennero travolte e persero la vita. 

Il disastro rase al suolo le località di Erto e Casso, come la maggior parte di Longarone, nelle province di Pordenone e Belluno. Gli abitanti scomparvero nel nulla, inghiottiti dai flutti e dalle macerie. I tecnici stavano monitorando la situazione da giorni perché il pericolo che la frana si staccasse era reale ma l'appello dei geologi non venne ascoltato e la popolazione non fu avvertita dell'imminente pericolo.

Il Vajont era un fiume placido tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto che si riversava in un lago voluto dalla Sade (ente gestore della diga fino alla nazionalizzazione). Il bacino idroelettrico s'insinuava lentamente nelle fondamenta del monte Toc. 'Patoc', in friulano, significa marcio, ma nessuno poteva immaginare che quel nome avesse un significato reale.

All'indomani della tragedia, dei fiumi d'inchiostro spesi per indagare sulle cause dell'immane tragedia, pochissimi si concentrarono sugli errori umani, che dopo dibattiti e processi vennero ricondotti a progettisti e dirigenti della Sade, che occultarono la non idoneità dei versanti del bacino. Dopo la costruzione della diga si scoprì, infatti, che essi avevano caratteristiche morfologiche tali da non renderli adatti a essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Inoltre, nessun piano di evacuazione di massa venne predisposto quando il pericolo era ormai sotto gli occhi di tutti.

I residenti sostengono di non aver mai ricevuto l'attenzione che meritavano nonostante l'impegno di Mauro Corona e di Marco Paolini e gli sforzi di varie organizzazioni che hanno concertato una offerta turistica calibrata proprio su quella tragedia. Per diffondere un messaggio più che per trarne profitto. 

Oggi, nell'anniversario del disastro, è intervenuto il presidente della Repubblica Mattarella, che ha affermato: "A 55 anni dal disastro del Vajont l'Italia non dimentica le vite spezzate, l'immane dolore dei parenti e dei sopravvissuti, la sconvolgente devastazione del territorio, i tormenti delle comunità colpite. Neppure può dimenticare che così tante morti e distruzioni potevano e dovevano essere evitate. In questo giorno di memoria il primo pensiero va alle vittime, ai loro corpi straziati, molti dei quali mai ritrovati". 

Ieri sulla vicenda ha parlato il governatore del Veneto, Luca Zaia, leghista, e la parlamentare dem Debora Serracchiani. "Ci sono tragedie che non possono essere mai archiviate ed una di queste è il Vajont: abbiamo il dovere di piangere le vittime ma soprattutto di tenere bene a mente le responsabilità", ha detto il presidente della Regione. Precisando che "non fu una calamità" ma "una tragedia annunciata, temuta e negata fino all'ultimo anche da chi doveva controllare". Un "disastro ambientale e umano, che poteva essere evitato". In un tweet, Serracchiani ha ricordato che nella tragedia "persero la vita 2000 persone, tra cui 487 bambini e ragazzi sotto i 15 anni. Il Friuli Venezia Giulia non dimentica".

Domenico Angelone, tesoriere del Consiglio nazionale dei geologi, ricorda il disastro ambientale e umano del dopoguerra con queste parole: "Il disastro del Vajont costituisce la fotografia di un Paese miope dal punto di vista della prevenzione e della valorizzazione delle professionalità. I geologi di allora furono inascoltati esattamente come oggi, a distanza di 55 anni, si continua a maltrattare il territorio e a sfidare le forze della natura con il cemento e la perfezione teorica, in accordo con l'approssimazione politica e l'arroganza di chi continua a non voler risolvere il problema alle sue origini".