Giovedì 21 Novembre 2024
REDAZIONE CRONACA

Gli uomini di Messina Denaro liberi per scadenza dei termini

Lo ha deciso la corte d’appello di Palermo, che era chiamata dalla Cassazione a rivedere le pene. Caduta l’aggravante, sconti di pena a boss e gregari

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro in un fermo immagine dopo l'arresto dei carabinieri del Ros

Il boss mafioso Matteo Messina Denaro in un fermo immagine dopo l'arresto dei carabinieri del Ros

Palermo, 14 ottobre 2024 – Alcuni fedelissimi di Matteo Messina Denaro torneranno liberi nelle prossime ore. Pene ridotte in appello e una pioggia di scarcerazioni per scadenza dei termini di custodia cautelare. Lo ha deciso la corte d’appello di Palermo, che su indicazione della Cassazione e per il venir meno della circostanza aggravante del reimpiego economico dei proventi dell’attività mafiosa, era chiamata a rivedere le pene per una serie di capomafia e gregari trapanesi.

Mentre li intercettavano, i carabinieri sentivano il fruscio dei pizzini di Matteo Messina Denaro, all’epoca il latitante più ricercato del Paese. Era la prova che il boss era ancora vivo e continuava a fare affari coi suoi uomini, gli stessi che oggi sono stati scarcerati per scadenza dei termini di custodia cautelare.

A lasciare la cella anche due padrini al 41 bis ritenuti fedelissimi dell’ex primula rossa di Castelvetrano, Nicola Accardo e Vincenzo La Cascia. “Dice che era in Calabria ed è tornato...”, si dicevano, non sapendo di essere intercettati Accardo, capomafia di Partanna, uno che contava nel clan, e Antonino Triolo. Il riferimento era, appunto, a Messina Denaro che, ne sono certi gli inquirenti, in Calabria si sarebbe nascosto per un po’.

Entrambi finirono in manette in un blitz che venne denominato Anno Zero, una operazione dei carabinieri e della Dda di Palermo che colpì la rete di protezione del boss e puntò al cuore della famiglia del ricercato: in cella finirono due suoi cognati Gaspare Como e Rosario Allegra, poi deceduto, oltre a diversi fiancheggiatori, capimafia ed estortori. Nel 2019 in abbreviato vennero condannati a un secolo e mezzo di carcere. Poi ci fu l’appello che si concluse nel 2021 con conferme pesanti. La Cassazione, però, nel 2023 rimandò tutto ai giudici di secondo grado del capoluogo per valutare l’esistenza della aggravante del reimpiego economico dei proventi dell’attività mafiosa.

A distanza di un anno una nuova sezione della corte si è pronunciata rideterminando le pene proprio in virtù del venir meno della circostanza. Gli ‘sconti’ che ne sono seguiti hanno riaperto le porte del carcere per scadenza dei termini di custodia cautelare per Nicola Accardo boss di Partanna detenuto al 41 bis, Vincenzo La Cascia, capomafia della cosca di Campobello di Mazara, il paese scelto da Messina Denaro per l’ultimo periodo della sua latitanza, anche lui al carcere duro, Andrea Valenti, parente dei favoreggiatori storici del boss di Castelvetrano, i Bonafede, Filippo Dell’Aquila, Angelo Greco, Calogero Guarino, Giuseppe Tilotta, Antonio Triolo, Raffaele Urso.

L’inchiesta svelò che dalla latitanza il capomafia ricercato aveva investito i due cognati della responsabilità di gestire gli affari della ‘famiglia’: racket, energie rinnovabili, grande distribuzione alimentare e scommesse online.