BUDAPEST
Contro l’opposizione, i migranti, le comunità Lgbt. E soprattutto contro la ‘jihad dello stato di diritto’ scatenata dall’Ue contro Budapest. Quando aveva lanciato la campagna elettorale, il premier ungherese Viktor Orbán (foto), in corsa per il quarto mandato consecutivo, aveva dato sfoggio a tutto il proprio repertorio sovranista. Allora, la guerra in Ucraina era solo un’ombra che si proiettava minacciosa sull’Europa. Il nemico era ad Ovest, la linea del fronte a Bruxelles. Ora che i cannoni sono tornati a tuonare nel cuore del vecchio continente, si è imposto un cambio di passo, l’ennesimo per il leader dalle tante metamorfosi. E così nel giro di un mese, da uomo forte in lotta contro tutto e contro tutti, Orbán ha indossato i panni del garante della pace, riuscendo a trasformare il suo tallone d’Achille (i rapporti stretti con il Cremlino) in un’opportunità, quella della neutralità, dell’equidistanza tra Mosca e Kiev.
L’incertezza regna sovrana alla vigilia di uno dei voti più cruciali non solo per l’Ungheria, ma per la stessa Ue. Dalle ultime rilevazioni, emerge un paese profondamente spaccato, con Fidesz leggermente in vantaggio sull’opposizione e un terzo degli elettori ancora indeciso. "La vera posta in gioco – racconta la vice sindaca di Budapest, Kata Tüttő – non è l’ingresso dell’Ungheria in guerra ma i rapporti con il Cremlino e l’appartenenza stessa del paese all’Ue e alla Nato. In questi anni Orban ha spinto l’Ungheria quasi fuori dall’Ue e non sappiamo quanto sia realmente dipendente dal Cremlino. Forse un pò di più di quanto non si immagini".