Lunedì 23 Dicembre 2024
MATTEO
Cronaca

Un’estate fa c’era il calcio, almeno quello

Matteo

Massi

Aveva ragione il Califfo, inteso come Franco Califano (1938-2013), quando cantava: "Un’estate fa La storia di noi due Era un po’ come una favola". E la favola, dodici mesi fa, l’abbiamo vissuta davvero. Almeno calcisticamente parlando. Quell’Italia di Roberto Mancini che si preparava agli Europei – che poi avrebbe vinto – era un’ipoteca sul (nostro) futuro radioso. Che ci serviva a mettere alle spalle una stagione difficile – l’inverno più duro – dopo il secondo anno passato chiusi in casa per il lockdown. Tutto (o quasi) sembrava possibile, anche che una nazionale di calcio – che non si era riuscita a qualificare ai mondiali tre anni prima – potesse arrivare fino in fondo. Un anno ed è già nostalgia, come di un amore nato e finito nell’intervallo della stagione più calda ("Ma l’estate somiglia a un gioco È stupenda ma dura poco") perché l’estate che ci si para all’orizzonte, non induce all’ottimismo: non solo sportivo. Quello che sembrava un incidente di percorso, si è ripetuto: niente qualificazioni ai mondiali per la seconda volta di fila. E poco importa che i mondiali, questa volta, si giocheranno in inverno, perché saranno in Qatar.

Quest’Italia è spaventata. E torniamo alle cose serie. Forse più spaventata di un anno fa, perché la pandemia è stata sostituita da una guerra, i cui effetti sono soprattutto economici. Ieri il rapporto Eurispes raccontava come l’87,3% teme una crisi energetica. Il combinato disposto pandemia-guerra ingigantisce le preoccupazioni per una ripresa che non sarà così rapida come si sperava (già tagliate le stime) e la metà delle famiglie è costretta a ricorrere ai risparmi (sempre fonte Eurispes).

È passato un anno, ma sembra trascorsa un’era geologica. E questa volta non c’è nemmeno la distrazione sportiva. L’unica certezza è un’altra estate (per fortuna) in arrivo e quella domanda che Fabrizio De André (1940-1999) che canta in "Canzone per l’estate": "Com’è che non riesci più a volare?". Che poi quel volare è un po’ come sognare. E chiederselo è (sempre) necessario.