Roma, 27 gennaio 2025 – Oleg Mandic, lei è l’ultimo essere vivente a essere uscito da Auschwitz, alle sue spalle si chiusero per sempre i cancelli del campo di sterminio più terribile della storia. Ma da Auschwitz si può essere usciti davvero?
“No. Dal più grande campo di concentramento della storia non si esce mai, in verità. Auschwitz ti resta addosso e dentro per sempre, il pensiero dei milioni di anime che si sono sciolte nel vento dei crematori mi accompagna e m’insegue ogni giorno da ottant’anni a questa parte. Però io ho avuto una vita bellissima, grazie ad Auschwitz”.
Perché?
“Quando uscii avevo solo 12 anni, non potevo capire tutto fino in fondo. Con la maturità e il dolore dell’esistenza ho compreso poi che niente poteva essere così abominevole nella mia vita come Birkenau. Da allora capii che avrei avuto un’esistenza in discesa verso la bellezza. E così è stato”.
È stato internato come prigioniero politico italiano insieme a sua mamma e sua nonna dall’Istria. Com’è possibile?
“Eravamo italiani d’Istria, ad Abbazia, oggi Croazia. Mio nonno Ante Mandic e mio padre erano a capo del comitato di liberazione dell’Istria dal nazifascismo e nel 1943 si dettero alla macchia per fare la Resistenza. Gli uomini della Wehrmacht quando lo seppero, nel maggio del 1944, vennero a casa nostra e non trovando i miei vecchi arrestarono me, mia mamma e mia nonna. Dopo due mesi trascorsi rinchiusi in una cella nel carcere del Coroneo di Trieste, ci caricarono su un treno bestiame e ci portarono ad Auschwitz; qui fummo internati come prigionieri politici e vi restammo fino al marzo 1945 quando i russi ci liberarono e ci portarono a Mosca. Fummo gli ultimi tre prigionieri a uscire da quell’inferno”.
Un inferno dove non solo è rimasto per molto tempo, ma dove ha rischiato più volte di morire finendo anche nel reparto del famigerato Dottor Mengele, l’Angelo della Morte. Che ricordo ha di lui?
“Ho saputo che quel medico di bell’aspetto, alto, con stivali neri lucidi, ben pettinato e con il camice bianco in verità fosse un mostro che faceva esperimenti sui gemelli, solo molti anni dopo essere uscito da lì. Lo vedevo tutti i giorni, mi sorrideva, ci offriva la cioccolata e le caramelle. Non era affatto terribile apparentemente. Il Dottor Morte era un uomo – se così si può chiamare – serio ed educato. Suscitava persino simpatia. I bambini che finivano nei suoi laboratori però spesso sparivano per sempre e questo suscitava enormi angosce e interrogativi senza risposta per tutti noi. Per fortuna io che avevo sempre la febbre e non ero un gemello non sono finito là dentro”.
È uscito distrutto ma vivo dopo mesi di sofferenze e solitudine. Quanto le è rimasto dell’odore acre dei forni di Birkenau?
“L’orribile fetore di carne umana bruciata, che emanava miasmi terribili, provenienti dai camini dei crematori, mi ha accompagnato ogni giorno della vita. Pensate che nei sette mesi in cui fui prigioniero ad Auschwitz non vidi mai un uccellino. Gli animali non sono stupidi. Come avrebbero potuto volare in quell’atroce catacomba? Ricordo come fosse adesso che spesso il manto denso, nefando e oleoso del fumo che usciva dai camini ci impediva di vedere il sole”.
Cosa pensa del perdono?
“Dico sempre ai ragazzi: prendete la parola odio e contrapponetela al perdono. Si può davvero perdonare chi si odia? Non so. Però ho capito presto che una delle maggiori disgrazie dell’uomo sia l’odio. L’odio porta a mondi terribili e a altro odio, in una catena infinita. E questo infinito a volte si chiama Auschwitz. È necessario recidere la catena all’origine, io ci sono riuscito. Altri no, perché i genocidi continuano tutt’oggi. Credetemi: dobbiamo smettere di odiare”.
Ad Auschwitz ha perso prima la fede o la speranza?
“Ho perso prima la fede. Ho seppellito Dio la notte in cui il mio unico amico del lager, Tolja, un bambino ucraino, spirò tra le mie braccia, mentre lo stringevo per dargli calore. La speranza è davvero l’ultima a morire, e la mia fonte di speranza è stata mia madre: lei, le sue mani, i suoi occhi, mi hanno dato la forza di sopravvivere. Mia madre è stata la mia salvezza”.
Ha paura della morte?
“L’ho incontrata e incrociata così tante volte, nella mia vita. Ormai non la temo più da molto tempo, la rispetto. Non so dove, non so in quale momento, ma un giorno mi permetterà di riabbracciare mia madre”.