Ergastolo. Per quello che l’accusa aveva definito "l’ultimo atto di controllo" nei confronti della ragazza che lo aveva lasciato. Per le 75 coltellate, la premeditazione, l’infinito orrore. A poco più di un anno dall’assassinio arriva il giorno del giudizio per Filippo Turetta, che diceva di amare Giulia Cecchettin e l’ha uccisa. Reo confesso, il 23 enne era accusato di omicidio volontario con l’aggravante di premeditazione, crudeltà ed efferatezza, sequestro di persona, occultamento di cadavere e stalking. I due giudici togati e i sei popolari, presieduti dall’esperto Stefano Manduzio, accolgono la richiesta del pm e la sentenza viene pronunciata alle quattro del pomeriggio nell’aula della Corte d’Assise di Venezia. Carcere a vita, senza però le aggravanti della crudeltà e del reato di minacce previsto dall’articolo 612 bis del codice penale. Oltre alle interdizioni di legge, viene disposto un risarcimento alle parti civili: una provvisionale di 500mila al padre Gino Cecchettin, 100mila ciascuno ai fratelli Elena e Davide (ieri assenti così come in tutte le altre udienze), 30mila ciascuno alla nonna Carla Gatto e allo zio Alessio. La sentenza arriva dopo cinque udienze di un processo lampo, senza testimoni e consulenze.
Nessun dubbio sulla condanna, l’incognita era quale sarebbe stata. Nella requisitoria il pm aveva sottolineato come l’ergastolo in Italia non sia più tecnicamente un "fine pena mai". Ci sono istituti di lenimento della perpetuità della condanna, la semilibertà, la liberazione condizionale. Replica del legale di Turetta, Giovanni Caruso: l’ergastolo è comunque un tributo che si paga "all’ideologia della pena vendicativa". Nell’udienza del 26 novembre, il difensore aveva cercato di smontare i punti sui quali poggiavano le aggravanti mosse a Turetta. A cominciare dalla la premeditazione: le liste delle cose da fare e il modo di agire di Turetta sarebbero stati prova della sua ‘indecisione’ rispetto alla volontà di uccidere. E poi: nessuna crudeltà. Quella di Filippo sarebbe stata un’aggressione "da corto circuito, in preda a una alterazione emotiva". Quanto agli atti persecutori e allo lo stalking, Giulia secondo la difesa era sì controllata ma "non aveva paura di Filippo", altrimenti "non avrebbe accettato di uscire con lui quella sera".
Per la pubblica accusa Turetta "premeditò con crudeltà l’omicidio", quindi era punibile con l’ergastolo su cui pesava soprattutto quella lista delle cose per uccidere (coltelli, scotch, badile, sacchi neri dell’immondizia, corda per legare caviglie, sotto e sopra ginocchia, calzino umido in bocca per non farla urlare) stilata solo quattro giorni prima del delitto dell’11 novembre 2023. Un progetto nero dal quale poteva tirarsi indietro in qualsiasi momento, avendo "tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere".
Turetta, che dal 25 novembre 2023 è rinchiuso nel carcere di Verona, incassa a testa china la condanna all’ergastolo senza manifestare emozioni. Intorno ci sono due famiglie distrutte, l’Italia traumatizzata. "Ha compreso la decisione – dice il suo avvocato –. È un po’ stordito per certi versi. Mi ha ringraziato con la timidezza che avete imparato a conoscere. Ora facciamo decantare un po’ la situazione e poi ragioniamo sul da farsi in merito a un eventuale appello".
"Non si può essere soddisfatti di una sentenza – sospira Carla Gatto, la nonna di Giulia – Noi il nostro dolore ce lo portiamo fino alla tomba". Alessio Cecchettin, lo zio, spera che "dalla parte di Turetta si soffra un po’ di più". Spiega: "Filippo non ha mai chiesto scusa, non ha mai nominato Giulia". Non fa sconti nemmeno Andrea Camerotto, lo zio materno: "Non perdonerò mai chi ha ucciso mia nipote e non perdonerò mai chi fa del male alle donne. La crudeltà c’è stata. In quella mezz’ora Filippo poteva ritornare in sé e non lo ha fatto".