Martedì 13 Agosto 2024
COSIMO ROSSI
Cronaca

Tutto fermo in Rai. Le opposizioni sono unite: prima le riforme, poi il cda. A rischio il voto di settembre

È stallo sulla nuova presidente voluta dalla maggioranza, la forzista Simona Agnes. Per votarla serve il placet dell’opposizione, che prima chiede di recepire le nuove norme Ue.

Tutto fermo in Rai. Le opposizioni sono unite: prima le riforme, poi il cda. A rischio il voto di settembre

È stallo sulla nuova presidente voluta dalla maggioranza, la forzista Simona Agnes. Per votarla serve il placet dell’opposizione, che prima chiede di recepire le nuove norme Ue.

Si morde la coda il cavallo simbolo della Rai all’ingresso di viale Mazzini. Sulla nomina dei nuovi vertici aziendali è infatti stallo a tutti i livelli. Tanto che, dopo il rinvio a settembre deciso dalla maggioranza ancora in cerca di un’intesa sulle cariche di vertice, già si annuncia lo slittamento della votazione fissata il 12 settembre a palazzo Madama per la nomina dei 2 consiglieri di amministrazione di spettanza del Senato (altri due li deve eleggere la Camera, uno l’assemblea dei dipendenti e due li nomina il governo). Al negoziato ancora in salita nella maggioranza si aggiunge infatti la prova di unità del campo largo: che chiede di anteporre alle nomine una riforma della governace aziendale, introdotta dal governo Renzi nel 2015, in ottemperanza della prossima entrata in vigore dell’European Media Freedom Act (Emfa) nell’agosto 2025. Paradossalmente, proprio in virtù del consenso dei due terzi in Commissione di vigilanza previsto dalla legge in vigore, le opposizioni potrebbero mandare in stallo la nomina della nuova presidenza e l’attività del Cda.

Partita doppia quindi. Anzi tripla, forse quadrupla. Perché si intrecciano l’accordo in salita interno alla maggioranza; la dialettica con le opposizioni sulla richiesta di riforma della governance; il rapporto nient’affatto disteso con l’Europa dopo le polemiche riguardo al rapporto sulla libertà di stampa; infine la partita degli incarichi aziendali, che fa sempre da corollario alle nomine e interessa sia la maggioranza che le opposizioni.

Il Parlamento ha fissato per il 12 settembre la votazione dei 4 membri dei Cda di sua spettanza. Ma sembra già che la data sarà postposta. Gli esponenti di tutti i partiti di opposizioni hanno infatti firmato una lettera per chiedere "una riforma nel solco del Media Freedom Act". In virtù del quale "l’attuale legge 220/2015, che governa la Rai, appare superata e necessita di una riforma che vada nella direzione di recepire la legge europea per la libertà dei media". In Europa Lega e FdI si sono astenuti sul nuovo regolamento, che tutela i giornalisti e il servizio pubblico dalle ingerenze della politica e esorta alla trasparenza nei finanziamenti dei media privati. Presto per dire quali e quante possano essere le ricadute, anche se Bruxelles conta che il testo servirà ad aggiustare situazioni come quella italiana, ungherese, slovacca e francese per quanto riguarda la trasparenza finanziaria.

Sta di fatto che il blocco delle opposizioni potrebbe congelare le nomine, in quanto è necessario l’accordo con le minoranze per la la ratifica della presidenza di garanzia, dove Meloni e Antonio Tajani vorrebbero Simona Agnes, in quota azzurra.

In commissione di vigilanza la maggioranza ha solo 24 dei 28 voti necessari a raggiungere il quorum dei due terzi. Uno stop che potrebbe far saltare il ticket con Giampaolo Rossi, attuale dg meloniano, già designato per la carica unica di ad al posto di Roberto Sergio. Carica che Matteo Salvini vorrebbe confermata per una figura in quota leghista. O in subordine compensata con la guida del DayTime o degli Approfondimenti. Se il fronte delle opposizioni terrà e non si aprirà una trattativa su un nome alternativo, facile che venga a mancare il quorum. Ma prima ancora le Camere devono votare i 4 nuovi membri del cda, sui quali l’intesa è in salita. A meno che Meloni, Tajani e Salvini non vogliano aprire il confronto sulla riforma della governance, dovranno trovare la quadra perlomeno su una presidenza gradita all’opposizione.