Può darsi che il mondo non "sia impazzito", come ha detto Trump a Parigi. Di sicuro qualcosa si è sbullonato, e non è cinico rimpiangere la stabilità di mezzo secolo di guerra fredda, quando il Muro di Berlino reggeva gli equilibri globali: "buoni" di qua, "cattivi" di là, ognuno al suo posto, come amava ricordare Andreotti. Di guerre adesso ce ne sono ovunque. E quella "calda" dell’Ucraina, nel cuore dell’Europa, molto probabilmente non è neppure estranea ai fuochi che a seguire si sono accesi in Medio Oriente, fino alla Siria.
Certo, nel vertice all’Eliseo tra Macron, Zelensky e il prossimo presidente Usa, non sono state gettate le basi per una pace rapida e possibilmente equa in questa madre di tutti i conflitti. Figuriamoci, ma per essere solo un re in attesa di incoronazione, Trump qualcosa di positivo ha mosso. La volontà Usa di "un cessate il fuoco immediato e negoziati", ad esempio, che non è esattamente la stessa cosa di equilibrare il conflitto con la fornitura di armi sempre più potenti a Kiev. Guai se non fosse stato fatto, ma guai anche a non rallentarne il flusso, per prendere poi per mano (e per le orecchie) i contendenti accompagnandoli a un tavolo. Quello che vorrebbe lo stesso Zelensky, la cui intenzione di un accordo è stata esternata esplicitamente da Trump. Come un marchio di autenticità. Ovvio che Mosca abbia risposto che è l’Ucraina a dover togliere il niet a un negoziato che però non viene escluso: un piccolo, significativo passo in avanti.
Del resto, che ci sia stanchezza e debolezza anche al Cremlino, è evidente. I mercenari nordcoreani e l’impossibilità militare e politica di difendere Assad sono un termometro delle difficoltà di Putin. E se dopo la preghiera di pace a Notre-Dame, Trump saprà farne una laica in Piazza Rossa, beh, il mondo non sarà guarito dalla sua follia. Si sarà messo almeno una fragile, temporanea camicia di forza.