di Guido Bandera
BARDONECCHIA (Torino)
All’improvviso, l’ultima frana lungo il versante francese della montagna trasforma quel che resta del triangolo industriale Milano-Torino-Genova, classico esempio da sussidiario dello sviluppo economico padano, in un altrettanto proverbiale triangolo delle Bermude. Lo stop del transito nella galleria della Val di Susa, i limiti austriaci al Brennero, i lavori al tunnel del Monte Bianco, il Gottardo in difficoltà dopo un deragliamento, insieme ai problemi strutturali del vecchio Sempione, datato 1906, compongono un panorama di allarme per le imprese del Nord Italia, per la logistica di un’industria che vive di mercati esteri. Assolombarda stima che un terzo del Pil, ai piedi della Madonnina, sia frutto delle esportazioni, oltre sei punti sopra la media nazionale. Un trend che potrebbe crescere, se non fosse soffocato da lavori in ritardo, strade e ferrovie strette, gallerie ottocentesche. E la pioggia monsonica di questo fine settimana ha regalato la prova plastica della fragilità del sistema.
Il costone di roccia sopra la valle savoiarda della Maurienne ha ceduto, bloccando il Fréjus a tempo indeterminato. Nella migliore delle ipotesi per una settimana. Merci paralizzate. A meno di non caricarle su piccoli camion, fino a 3,5 tonnellate, e imboccare l’autostrada. Il dossier è sul tavolo della commissione intergovernativa Italia-Francia sul collegamento Torino-Lione, quella che segue la Tav, fra contestazioni, invasioni di cantiere e qualche lite. Josiane Beaud, capo delegazione transalpino, ha comunicato agli italiani che Sncf, le ferrovie francesi, non è ancora autorizzata a intervenire sul versante a rischio. Paolo Foietta, presidente della commissione, assicura che "appena sarà fatta la diagnosi geologica inizieranno i lavori".
"La situazione è preoccupante, il blocco dei trafori autostradale e ferroviario e la chiusura prevista del Monte Bianco – prosegue – mostrano una fragilità che sarà superata solo con il nuovo tunnel di base (quello della Tav) che ci metterebbe al sicuro da tali eventi". "Fare o non fare il Fréjus significa progredire o regredire", diceva Camillo di Cavour al Parlamento di Torino nel 1857. Ma il progresso viaggia lento e intanto, come dice Foietta, il problema si sposta ai piedi del Bianco. Qui, dal 4 settembre al 18 dicembre, per 15 settimane, si fermerà tutto. Partono i lavori per il rifacimento della volta dell’opera inaugurata nel 1965 davanti a Charles De Gaulle e Giuseppe Saragat. Per finire il cantiere ci vogliono cinquanta milioni di euro. E il blocco del traffico si ripeterà, ogni autunno, per altri diciotto anni. Per aggirare l’ostacolo, ai tir diretti in Francia si consigliano il Fréjus (ora in crisi), il valico del Col des Montets o quello del Piccolo San Bernardo, in quota e a rischio neve. Oppure il tunnel del Gran San Bernardo, che però porta in Svizzera, allungando i tempi. Il disastro logistico del Nord Italia si completa guardando anche altrove.
In Svizzera, il 10 agosto, il nuovissimo e rapido tunnel di base del Gottardo, causa deragliamento, è stato chiuso. Riparato il danno, per ora il transito merci è ripreso, ma non quello passeggeri. Resta, con tempi più dilatati, l’alternativa della galleria autostradale. Tre anni fa sono cantieri del raddoppio. Ma l’opera, data 1980, è vecchia e impone distanze di sicurezza e bassa velocità. In Austria, al Brennero, nel frattempo la linea ferroviaria chiusa per una frana è stata riaperta. Ma restano le solite limitazioni di transito autostradale dei tir, imposte dal Tirolo per ragioni ambientali. E metà del Pil italiano, quello prodotto nelle regioni del Nord, può serenamente mettersi in coda in attesa del progresso.