Milano, 18 maggio 2024 – Qualche settimana fa, all’ospedale pediatrico Buzzi di Milano, un bimbo di neanche un anno che in un incidente domestico aveva subito ustioni sul 20% del corpo è stato sottoposto a un trapianto di pelle decisamente straordinario. La "donazione autologa", cioè il prelievo di pelle sua da un’altra parte del corpo, era esclusa: troppo piccolo. Al bimbo è stata trapiantata una pelle generata in laboratorio a partire dalle sue stesse cellule staminali. Il laboratorio è in Svizzera, a Zurigo, ma la ceo e co-fondatrice della biotech CUTISS che crea questa "cute autologa bioingegnerizzata" per i trapianti è Daniela Marino, una scienziata italiana originaria della provincia di Agrigento. Ha creato una start-up e raccolto oltre 90 milioni di euro ("Sinora, siamo in fundraising in questo momento") per portare più rapidamente ai pazienti quella che tecnicamente si chiama "ingegneria tissutale. Generiamo tessuto cutaneo in laboratorio".
A partire dalle cellule staminali del paziente?
"Sì: le staminali vengono combinate con una matrice per creare un innesto dermo-epidermale che una volta applicato ha una presa permanente. Rimane lì e si rigenera sul paziente, per tutta la vita, senza bisogno di rimodellarlo. E senza rischi di rigetto , perché è fatto con le cellule del paziente. Non è identico alla pelle di prima: non siamo in grado – non ancora – di ricreare peli o ghiandole per esempio. Questo, però, non avviene neppure con il trapianto autologo, e rispetto a esso il nostro tessuto ha dei vantaggi importanti".
Quali?
"L’autoinnesto ha due limiti principali. Il primo: la pelle sana non può essere prelevata dal paziente in grandi quantità. Si può prendere da poche parti del corpo e se le ferite sono estese non è sufficiente. A noi basta un francobollo di pelle per generare tutta la quantità che serve".
Il secondo vantaggio?
"Noi trattiamo ferite profonde, e con l’autoinnesto si preleva uno strato di pelle il più sottile possibile, per non crearne altre: l’epidermide e tracce del derma. Ma quando questo strato sottile viene applicato su una ferita profonda, il nostro corpo cerca di colmare il gap producendo tessuto cicatriziale: la ferita si riempie di questo materiale e l’effetto è una pelle ’raggrinzita’, una cicatrice che migliora solo limitatamente negli anni".
Invece il tessuto rigenerato in laboratorio?
"La mia battaglia più grande è stata creare un tessuto abbastanza spesso da evitare la formazione di tessuto fibrotico. I primi pazienti sono stati trapiantati ormai dieci anni fa e l’innesto è rimasto morbido, nei bambini si espande con la crescita e si crea poco tessuto cicatriziale: non è la pelle di prima, ma è significativamente migliore rispetto al trapianto autologo. La nostra grande idea è stata utilizzare come matrice collagene in forma liquida, dal quale siamo arrivati a produrre un tessuto che puoi tenere in mano, resistente ma soffice e gestibile per i chirurghi".
Quanto tempo c’è voluto?
"Siamo partiti all’università di Zurigo nel 2001. Oggi siamo in sperimentazione clinica avanzata, abbiamo già dimostrato la sicurezza e l’efficacia del prodotto e stiamo per iniziare l’ultima fase, la terza. Siamo l’azienda più ’avanti’ in questo percorso".
Per quanti pazienti avete rigenerato la pelle in laboratorio?
"Più di sessanta tra Svizzera, Olanda, Italia, Germania, Irlanda, Regno Unito. Tre anni fa, all’ospedale Santobono di Napoli, abbiamo trattato il paziente più piccolo al mondo: un neonato con ustioni sul 40% del corpo. Abbiamo rigenerato la pelle di bambini, adulti, anziani, di un ragazzino ustionato al 95% che oggi è un adulto di un metro e novanta".
Quali applicazioni può avere il trapianto di cute autologa bioingegnerizzata in futuro?
"Moltissime. Non è solo una terapia salvavita per chi ha subito ustioni o l’asportazione di tumori, può avere applicazioni in chirurgia plastica per un ampio ventaglio di persone: da chi affronta una transizione di genere a chi si opera per motivi estetici, per rimuovere una cicatrice o anche un tatuaggio".
Ora collaborate anche con il Buzzi, un ospedale pubblico nonché il polo pediatrico di riferimento a Milano.
"Per noi è molto importante perché diventerà il nostro centro di punta in Italia dopo Napoli. Io sono di Canicattì e mi ha riempita d’orgoglio cominciare con un ospedale del Sud, ma al Nord abbiamo dovuto abbandonare tre centri perché abbiamo trovato enormi difficoltà burocratiche. Mi rende felice coinvolgere un ospedale di Milano, dove sono arrivata a 18 anni per studiare Biotecnologie in Statale".
Poi la Svizzera .
"Per il dottorato al Politecnico di Zurigo. Io volevo rimanere dietro al bancone, fare la ricercatrice, poi sono stata coinvolta in questo progetto, cominciato vincendo un Grant da 5 milioni di euro dell’Ue per i primi test. Quando levi la benda e vedi che funziona, una, due, tre volte, capisci che questa cosa non puoi lasciarla. Così, sette anni fa, ho avuto la matta idea di creare una start-up: la Svizzera ha infrastrutture invidiabili per supportarti, ma è stata la cosa più difficile che ho fatto nella mia vita. Per me era quasi una questione di responsabilità: dopo aver lavorato tanto su qualcosa che so che funziona, l’unico modo per farlo arrivare rapidamente ai pazienti era raccogliere i soldi e fare un’azienda".
Se vuoi iscriverti al canale WhatsApp di Qn clicca qui