Sabato 23 Novembre 2024
REDAZIONE CRONACA

Totò Riina, la storia. Dall'ascesa corleonese alle stragi

Il primo omicidio a 19 anni, poi la latitanza e le sanguinose guerre di mafia. La politica stragista, il papello e l'arresto. Tutti i crimini del capo indiscusso di Cosa Nostra

Totò Riina tra due carabinieri dopo l'arresto del 15 gennaio del 1993 (Ansa)

Totò Riina tra due carabinieri dopo l'arresto del 15 gennaio del 1993 (Ansa)

Parma, 17 novembre 2017 - Totò Riina, morto stanotte a 87 anni, era l'uomo simbolo della mafia nera e stragista. Ritenuto fino all'ultimo istante della sua vita ancora il capo di Cosa Nostra, era detenuto da 24 anni al 41 bis dove stava scontando 26 ergastoli. 

L'ASCESA A CORLEONE - Nato nel 1930 a Corleone, nella profonda Sicilia, si lega presto al capomafia Luciano Liggio, di cui prenderà il posto. Già a 19 anni è condannato per aver ucciso un amico in una rissa. Sconterà solo parzialmente la pena.

Fedele a Liggio prende parte alla sanguinosa guerra contro gli uomini di Michele Navarra. Nel 1969 inizia la sua latitanza e contemporaneamente la sua ascesa dentro Cosa Nostra, sancita nel sangue  con la strage di Viale Lazio, che doveva punire il boss Michele Cavataio. In quegli anni Riina si avvicina al compaesano Vito Ciancimino, prima assessore poi sindaco mafioso di Palermo, tramite il quale 'Totò u' Curto' mette le mani nella politica e nell'amministrazione degli affari comunali. Nel 1971, Riina uccide procuratore Pietro Scaglione e, nello stesso anno, partecipa ai sequestri a scopo di estorsione ordinati da Liggio.

Dopo la cattura di quest'ultimo dal '74 diventa capo della cosca di Corleone e uomo chiave nella seconda guerra di mafia che vide dal maggio 1981 l'omicidio per mano dei boss a lui fedeli, di oltre 200 mafiosi della fazione Bontate-Inzerillo-Badalamenti (molti altri rimangono vittime di 'lupara bianca'). Il massacro prosegue fino a quando, nel 1982, si insedia una nuova 'commissione', al posto di quella di Badalamenti, composta solo dai fedelissimi di Riina e guidata da Michele Greco, cui succede lo stesso Riina.

GLI OMICIDI POLITICI. A fine anni '70 - inizio anni '80 Riina decide l'eliminazione degli avversari politici per proteggere gli interessi di Ciancimino. Il tentativo di mediazione del futuro grande pentito Tommaso Buscetta convocato dal Sud America a Palermo è vano. Il 9 marzo 1979 viene ucciso il segretario provinciale della Democrazia Cristiana, Michele Reina, il 6 gennaio 1980 è la volta del presidente di Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, il 30 aprile 1982 tocca al segretario regionale del Pci, Pio La Torre, 'colpevole' di aver indicato pubblicamente Ciancimino come uomo di mafia. Riina incarica quindi i cugini Ignazio e Nino Salvo di gestire i rapporti con l'ex sindaco di Palermo Salvo Lima, europarlamentare andreottiano. Secondo le dichiarazioni dei pentiti Giulio Andreotti si sarebbe dato da fare con l'europarlamentare per cambiare in Cassazione la sentenza del maxiprocesso, che però il 30 gennaio 1992 conferma l'ergastolo al boss e sancisce l'attendibilità delle dichiarazioni rese dal pentito Tommaso Buscetta: uno schiaffo al mito dell'impunità di Cosa nostra.

LE STRAGI DEL 92-93 - A quel punto il Capo dei Capi manda un avvertimento ad Andreotti: il 12 marzo, alla vigilia delle elezioni politiche, Lima muore ammazzato. Pochi mesi dopo Riina farà uccidere anche Ignazio Salvo. A maggio l'attacco frontale allo Stato. La strage di Capaci nel quale fu ucciso Giovanni Falcone. Cinquantasette giorni dopo toccò a Paolo Borsellino, in via D'Amelio. Nel '93 le stragi del Continente, Una "catena del tritolo" che colpisce Milano, Roma e Firenze. 

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IL PAPELLO E LA TRATTATIVA - In questo periodo sarebbe iniziata la presunta trattativa Stato-mafia, al centro di un processo il cui primo grado è alle fasi conclusive e in cui era imputato lo stesso Riina. Cruciale il ruolo di eVito Ciancimino che avrebbe fatto da intermediario tra esponenti delle istutizioni e il boss. Riina rispose a una richiesta di accordo con il famoso papello, un documento in cui il 'capo dei capi' mette delle condizioni: fermerà le stragi solo in cambio di un alleggerimento del 41 bis, una mano più morbida verso gli indagati, la cancellazione della legge sui pentiti e la revisione del maxiprocesso.

Anni dopo dal carcere di Opera (Milano), il 19 luglio 2009, anniversario di via d'Amelio, Riina attribuisce la Strage allo Stato e ai servizi segreti. Parte quindi l'inchiesta della magistratura sulla trattativa che sarebbe passata dalle mani di Totò a quelle del boss Bernardo Provenzano. Il 24 luglio 2012 la procura della Repubblica di Palermo chiede il rinvio a giudizio per Riina e altri 11 imputati, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa e violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Tra questi anche Marcello Dell'Utri, il boss Giovanni Brusca, l'alto ufficiale dei carabinieri Mori e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino per falsa testimonianza. Il 12 marzo 2012 nelle motivazioni della sentenza del processo a Francesco Tagliaviva per le stragi del 1992-1993, in merito alla trattativa tra Stato e Cosa Nostra i giudici scrivono: "Ci fu e venne quantomeno inizialmente imposta su un 'do ut des' (...) L'iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato".

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L'ARRESTO E LE SENTENZE - La latitanza di Riina finisce il 15 gennaio 1993, giorno dell'arresto. Il boss di Corleone sarà condannato a 26 ergastoli, per molteplici delitti (tra le vittime il colonnello Russo, i commissari Montana e Cassarà, i politici Mattarella, La Torre e Reina, il giudice Scoppelliti, il generale Dalla Chiesa, Boris Giuliano e Giaccone). Nel 1997 le condanne per la strage di Capaci e per l'omicidio del giudice Cesare Terranova arrivano, nel '99 quelle per gli attentati di Firenze, Milano e Roma.  Anche dopo anni di carcere duro non si pentirà mai.