Roma, 4 aprile 2019 - Via dei Codirossoni, via dell’Usignolo, via delle Cince, via delle Alzavole... A Torre Maura, periferia est della Capitale, a metà strada tra il Campidoglio e i Castelli, la toponomastica non aiuta a capire i luoghi. E dietro quei nomi flautati – da specie protetta a giù di lì – da 48 ore ribolle una rabbia mal covata. Uomini, donne, ragazzi e ragazze volati fuori dal nido, arruolati a voce o via social, restano in strada davanti al centro di accoglienza dell’ex Clinica (come la chiamano qua) per far sloggiare i 77 rom (33 minori) paracadutati dal Comune martedì pomeriggio, senza preavviso, in un quartiere assai problematico.
Qui lungo la Casilina, a 40’ di auto dal centro, la Roma monumentale e turistica appare un altro pianeta. E l’incandescenza della periferia ruba tutta la scena. Emergono tre temi – no all’insicurezza, no all’iniquità, no all’impunità – mescolati dentro un razzismo prima negato, poi motivato e infine quasi rivendicato. "Rega’! Ancora?". Giuseppe, tuta nera, marsupio griffato, sneaker di moda – la ‘vedetta’ che per prima ha dato l’allarme – appare stremato. Non è abituato a dare tante interviste: "Non siamo razzisti qua, sono loro che sono zingari. E razzista è la sindaca Raggi che ci ha mandato ‘sta gente: la portasse al quartiere suo. Torre Maura ha tanti problemi ma un suo equilibrio: non possiamo distruggerlo. E come noi debbono ribellarsi tutte le borgate". Polizia (in forze) e vigili urbani presidiano discretamente la via. I roghi dei cassonetti sono spenti. La tensione è meno forte ma c’è. Da ogni capannello si alzano voci. Donne soprattutto. Un gruppo pianta sedie da cucina in strada: "Il Comune deve mandare via i rom. Noi aspettiamo qua".
I ragazzi del presidio sono tutti vestiti allo stesso modo. La divisa collettiva è la tuta – stile finto povero o molto fashion. Le ragazze hanno le sopracciglia spinzettate, indossano magliette girocollo e bomber. Sneaker per tutti. Ci sono anche mamme col passeggino, nonne e nonni. Pasqualino è un pensionato: con una mano solleva la stampella, con l’altra agita un sacchetto. "È caffè: un regalo per i ragazzi di Forza Nuova e Casa Pound che sono venuti a sostenerci in questa battaglia giusta". Monica dà voce ai proprietari delle case popolari: "A noi chi ci tutela? Le nostre abitazioni hanno tanti problemi. Non possiamo finire sempre in coda". Calpestare i panini dei rom – la scena simbolo del primo giorno di proteste – cosa c’entra con la sicurezza? "Non è stato un bello spettacolo – ammette Monica –. È il segnale che la gente non ne può più". "Se i nostri figli non mangiano, neanche ’sti zozzoni devono magna’", teorizza una bionda. Nome? "Lassamo perde’! Però basta privilegi". Portano una giovane mamma davanti alle telecamere. "È incinta, ha un figlio piccolo e l’hanno sfrattata. A noi italiani chi ci aiuta?". Riattacca Giuseppe, il capopopolo: "A chi dice che siamo razzisti ricordo che qui, prima dei rom, ci stavano gli africani. Mai un problema. Perché volevano integrarsi. Gli davamo i nostri vestiti e facevamo la colletta: 5 euro a famiglia perché potessero farsi la grigliata di domenica. Di manzo, visto che erano tutti musulmani".
Mirko ha la tuta bordò. È alto, ha una faccia slava, simboli religiosi tatuati dappertutto e una croce di legno sul petto. "È di Padre Pio. Lo vado sempre a trovare. Pecché so’ omo de pace ma anche de guera. E se vonno la guera, la famo". Ancora: "Io so’ stato dentro, ho pagato gli errori miei. Questi che pagano se li lasciamo qua? Cominciano a rubbà, a dieci anni i regazzini girano col coltello: se te sfregiano il fratello piccolo che ffai? E se derubano nonna? Non possiamo rischia’ furti o incidenti. Perché poi denunci e nun succede gnente. Tutto nel cestino. I poliziotti nun sanno manco come se chiamano ‘sti qua: li vedi – li vedi dalle finestre? Vonno attacca’ briga, già ce sfottono, ce fanno vede’ l’i-Phone da mille euro. E come se ‘o so’ comprato l’i-Phone da mille euro, se so’ così poveri che je damo tutto gratis?". In serata arriva il pullmino per portare via i primi nove nomadi: "Abbiamo vinto. Qui a Torre Maura non devono più mettere piede", urla la gente. Gruppi di estrema destra colpiscono il mezzo con calci e manate. Poi spuntano fumogeni e bandiere al grido "Italia, fascismo, rivoluzione".