Macerie, borghi fantasma, ancora 50mila sfollati, un sentimeno di divorzio dalle istituzioni sempre più netto in una parte d’Italia che era uno scrigno di cultura e bellezza e si sta drammaticamente spopolando. È sempre desolante il bilancio a tre anni dal terremoto nel centro Italia. Alle 3.36 del 24 agosto 2016 un sisma di magnitudo 6 provocò 299 morti e rase al suolo interi paesi. Decine di bambini e giovanissimi tra le vittime, per lo più turisti in vacanza nelle seconde case di famiglia. Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto con la sua frazione Pescara: ovunque le stesse scene di distruzione. Un cratere di 138 comuni in 4 regioni: Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo. Da allora ad oggi si sono alternati tre governi e altrettanti commissari, la gente esasperata dalla lentezza è scesa in piazza tante volte. Tanti familiari delle vittime non partecipano più alle commemorazioni. Amatrice e Accumoli si preparano a celebrare l’anniversario con una cerimonia privata. Sarà la notte del silenzio e del ricordo delle 249 vittime che il terremoto, in quelle drammatiche e indelebili ore che sembravano non finire mai, ha lasciato dietro di sé, insieme alla distruzione, che, ancora oggi e chissà per quanto, segna comunità e terre. Amatrice ricorderà quella notte e chi non c’è più con una veglia e una fiaccolata tra le vie dell’antico borgo all’ombra della Laga che culminerà alle 3.36 con i rintocchi di campana, uno per ogni vittima. La Santa Messa, aperta a tutti, sarà celebrata il 24 agosto, alle 11 al palazzetto dello sport dal Vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili.
Pescara del Tronto (Ascoli), 22 agosto 2019 - "Io lo so, i bambini da aiutare me li manda lui. Ripenso sempre al pomeriggio del 23 agosto 2016, stavamo tornando dal parco giochi di Pescara del Tronto, eravamo in vacanza dai nonni. “Non voglio che tu e mamma moriate, voglio morire io al posto vostro”, mi ha sconvolto Giordano. Aveva solo 4 anni, era un bimbo vivacissimo e dolce, curioso di tutto. Per me era un angelo, mandato per salvare noi e la sorella".
Massimo Ciarpella, romano, ha 46 anni. Ha perso il figlioletto e la suocera Amelia, 60enne, nel terremoto del 24 agosto 2016, il disastro dei borghi che non ci sono più e in futuro chissà. Sono morti vicini. Lui è scampato alle macerie con la moglie Manuela, la figlia Giorgia, oggi 12enne, e il suocero Emanuele. La reazione di tante vittime del sisma più dimenticato della storia: a cosa serve parlarne, abbiamo perso tutto e siamo stati abbandonati.
"Capisco questo sentimento. Noi siamo ripartiti da nostra figlia. Con mia moglie ci siamo chiesti tante volte: cosa avremmo fatto, altrimenti?".
Vi ha dato speranza.
"All’inizio era lei a tirarci su. Attentissima a tutto quello che facevamo. Si è presa carichi ancora più grandi. L’anno scorso abbiamo avuto un altro bimbo, Santiago. L’abbiamo fatto prima di tutto per Giorgia. È tornata a sorridere".
Nel 2017 con sua moglie Manuela ha fondato un’associazione, ‘Insieme a Giordano’.
"Oggi è la nostra ragione di vita. Abbiamo donato 100mila euro per curare i bimbi. Aiutiamo tanti piccoli ricoverati al Bambin Gesù. Mi chiedono: come fai, con quello che ti è successo?".
Cosa risponde?
"Che non mi sono scelto questa vita, è diventata una missione. Il problema delle famiglie con un bimbo malato è la solitudine. Anche loro sono abbandonati, come noi del terremoto".
Il suo dolore è irreparabile eppure la sua voce è piena di entusiasmo.
"Proviamo a trasformare la sofferenza in amore. Abbiamo aiutato più di quindici piccoli, erano davvero casi disperati. L’associazione cresce ogni giorno, su Facebook siamo seguiti da 15mila persone".
Lasciati soli dopo il sisma, sostenete chi è nelle vostre stesse condizioni.
"Questo ci riempie il cuore, siamo veramente orgogliosi. Non abbiamo nessuno, alle spalle. Dallo Stato in tre anni neanche un telegramma, scandaloso. Anzi: abbiamo pagato la successione sulle macerie. E abbiamo ancora le rate degli elettrodomestici nuovi, avevamo appena finito di sistemare la casa. Sostegni? Zero".
Nonostante tutto questo, avete deciso comunque di aiutare gli altri.
"Quando entri in un reparto oncologico pediatrico ti cambia la vita. Lì ho conosciuto Agata, che purtroppo non ce l’ha fatta. Per me era come una figlia, quando è morta avevo deciso di lasciar perdere tutto".
Perché ci ha ripensato?
"Perché mi sono detto, non potevamo cambiare il suo destino ma le abbiamo regalato tante cose belle, negli ultimi mesi. E ora la famiglia ha aperto un’associazione, in Sicilia".
Siete... contagiosi!
"Noi diciamo catalizzatori d’amore. Rebecca oggi ha 17 anni, è in America per curare un malattia rara. Abbiamo aiutato la mamma, anche lei era completamente sola. Il nostro è anche un supporto morale. Siamo di sostegno a tante famiglie che arrivano dal sud a Roma per curare i bambini. Paghiamo viaggi e operazioni. Organizziamo iniziative sportive e mercatini di Natale, è un lavoro quotidiano. Allenavo i piccoli a calcio, ho lasciato".
Andrà alla commemorazione per il terzo anno del sisma?
"No. Ci sono stato una volta, non mi va più. Sarà la solita passerella. Siamo tornati a Pescara del Tronto in altri momenti. Ogni volta c’è incredulità. La nostra casa era in alto, vicino al parco giochi. No, non la ricostruiremo".
E chissà se mai verrà ricostruito il borgo. Era il paese di tanti romani in vacanza.
"I 47 morti di Pescara erano quasi tutti non residenti. E sono nate altre due associazioni come la nostra".
Immensamente Giulia e il sorriso di Arianna, le vittime avevano 9 anni e 15.
"Facciamo spesso le cose insieme. C’è un legame molto forte. Siamo diventati una nuova famiglia".
Che ricordo ha di quella notte?
"Con Manuela e Giorgia dormivamo al piano di sotto. Giordano invece era sopra, con i nonni. È crollato il tetto, il solaio invece ha retto. Siamo usciti da un buco, la casa è venuta giù. Avevo mani e piedi tagliati, un sasso mi ha spaccato la testa. Buio totale, mio suocero mi chiamava. L’abbiamo tirato fuori dalle macerie con mia moglie. Poi abbiamo trovato Giordano e la nonna, vicini. Quello che abbiamo visto ce lo porteremo dentro per sempre".