All’indomani della Seconda Guerra Mondiale la divisione in blocchi contrapposti, non soltanto politico-militari ma anche economico-sociali, è il carattere di assoluta novità. Sul piano strategico l’iniziale egemonia degli Stati Uniti, dovuta al monopolio della bomba atomica, viene colmata allorché i russi riescono a dotarsi di un ordigno identico (1949). Nel 1950 lo scontro fra le due Coree rischia di trasformare la guerra “fredda” in “calda”, ma USA e URSS riescono a confinarlo in dimensioni limitate proprio per l’incombente minaccia atomica. Nei successivi decenni le due Superpotenze non rinunciano ad allargare le loro rispettive sfere di influenza e a difenderle, ma esitano a fare ricorso a forme di guerra generalizzata: a impedire che degenerino sarà la prospettiva nucleare, il vero e proprio equilibrio del terrore.
L’aumento della potenza distruttiva delle bombe atomiche non va disgiunta dalla continua ricerca e dall’introduzione di nuove tipologie di armi, sempre più sofisticate: sottomarini nucleari, bombardieri strategici, missili intercontinentali. Il rischio tremendo corso in occasione della crisi di Cuba (1962) spinge le due Superpotenze a intraprendere forme di limitazione nella corsa agli armamenti.
In Occidente si è anche sviluppato un forte movimento pacifista, con la partecipazione di alcuni grandi intellettuali e scienziati. USA e URSS sono interessate a evitare che altri Stati entrino in possesso della bomba atomica, perché questo può ridimensionare la loro egemonia sui rispettivi blocchi e soprattutto creare situazioni ingestibili in aree delicate. Nel 1963 Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna firmano un trattato per la messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio e sott’acqua, per evitare gli effetti del fall-out, la caduta delle scorie radioattive. Inizia così un cammino arduo e lungo sulla via della limitazione degli armamenti che di recente sembra essersi bruscamente interrotto.