Caso Chiuso. Mohammad Abedini Najafabadi è già a Teheran, dov’è volato ieri pomeriggio dopo la scarcerazione dal carcere milanese di Opera richiesta dal ministro di Giustizia, Carlo Nordio, in quanto "non sussiste" la reciproca punibilità del reato contestato prevista dal trattato di estradizione con gli Usa, che il 16 dicembre scorso avevano chiesto e ottenuto l’arresto del cittadino svizzero-iraniano. La giornalista italiana Cecilia Sala, fermata a Teheran il 19 dicembre, è già a Roma da qualche sera.
Spiega il ministero che l’"associazione a delinquere per violare l’Ieepa (International emergency economic powers act, legge federale statunitense) non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano". Il commercio coi Pasdaran, insomma, per l’Italia non è terrorismo. Quanto poi all’associazione a delinquere e la fornitura di supporto materiale a una organizzazione terroristica (sempre i Pasdaran) "nessun elemento risulta a oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte" a Abedini, e le sue aziende che trattano "di produzione e commercio col proprio Paese di strumenti tecnologici avente potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari".
La decisione a sorpresa da parte del ministro Nordio, che sembrava voler attendere la sentenza della Corte d’Appello sugli arresti domiciliari fissata per il 15 gennaio, a detta di indiscrezioni politiche sarebbe stata dovuta al pericolo che dagli Usa arrivassero nuove imputazioni all’atto della formalizzazione della richiesta di estradizione (entro il 28 gennaio). Anche i legali del 38enne ingegnere iraniano sono rimasti spiazzati. Sta di fatto che ieri mattina presto Abedini è stato liberato e poi è potuto volare in Iran, che si compiace per la soluzione del caso e rivolge il proprio apprezzamento nei riguardi della diplomazia e dei servizi italiani.
Ormai, del resto, la partita diplomatica triangolare Usa-Italia-Iran sul caso incrociato di Sala e Abedini aveva preso una direzione felice dall’indomani del viaggio in cui la premier Giorgia Meloni aveva esposto al presidente entrante Donald Trump le riserve giuridiche dell’Italia sull’estrazione dell’ingegnere iraniano e probabilmente qualche rimostranza per il mancato preavviso al governo; anche se Nordio inizialmente aveva convalidato l’arresto su richiesta dell’Fbi del Massachusetts. Nelle more del passaggio di consegne alla Casa bianca tra Joe Biden e Trump, la consegna del governo era chiudere la partita entro l’insediamento del 20 gennaio, dato che la dichiarata avversione del tycoon nei riguardi dell’Iran avrebbe potuto inasprire la situazione. E così è stato.
Rimane da capire due aspetti: dove e come si sia prodotto il corto circuito comunicativo tra autorità di polizia e governo, che per tre giorni ha lasciato Sala inutilmente esposta a una ritorsione in Iran puntualmente avvenuta, e cosa volessero davvero gli Usa da Abedini, accusato in primo luogo di esportare alta tecnologia in Iran. Probabile che la chiave siano le informazioni, com’è sempre in quest’epoca. E a questo proposito può darsi che la chiave della liberazione sia di Sala che di Abedini sino i computer e i telefoni sequestrati all’ingegnere iraniano, che sarebbero rimasti in Italia e potrebbero essere oggetto di una prossima rogatoria da parte statunitense.