Roma, 2 marzo 2018 - La denuncia è già forte in sé, ma sale di livello se si considera, come è doveroso fare, il mezzo in cui è contenuta. L’Osservatore Romano, una delle tre testate ufficiali della Santa Sede (le altre due sono la Radio Vaticana e la Tv), ospita la testimonianza di una suora in cui viene denunciato lo "sfruttamento" cui sarabbero sottoposte molte consorelle da parte di cardinali e alti prelati, che le impiegano né più né meno come cameriere, poco o per niente pagate. La suora, come riporta l’articolo della giornalista Marie-Lucile Koubacki, racconta la vita agra di molte consacrate, specie di quelle che arrivano da paesi del terzo mondo, costrette a ridursi a un ruolo di grande comprimarietà. "Servono a tavola ma poi mangiano in disparte, in cucina da sole". Il pezzo prosegue evidenziando il senso di profonda frustrazione di molte di loro, che devono assumere ansiolitici per superare questa terribile situazione.
Le parole della suora, avallate dall’autorevolezza dell’Osservatore romano, sono un colpo alla bocca dello stomaco per una buona parte del mondo ecclesiale che finora dava per scontata la presenza in funzione meramente servile di persone consacrate, che hanno intrapreso la scelta di vita religiosa non certo per diventare colf del vescovo e del cardinale di turno. Una pratica comune a cui finora nessuno aveva mai fatto caso più di tanto, e basta considerare la presenza accanto agli ultimi papi di suore e suorine: le polacche per Woytjla, la Memores Domini per Ratzinger solo per restare alle ultime. Tuttora Benedetto XVI è assistito nel monastero in sui si trova in Vaticano, il Mater Ecclesiae, è assistito da alcune suore. Ora la percezione sta cambiando, e c’è chi alza la voce per protestare. E’ evidente che la vocazione religiosa non si esplica solo in una funzione contemplativa, tant’è che il motto del fondatore del monachesimo occidentale, Benedetto da Norcia, era "ora et labora", ma una cosa è prestare servizio nell'aiuto dei poveri o nell’accoglienza ai migranti, un altro è stirare i calzini a un alto prelato che gira con l’auto blu del Vaticano. Con quelle mansioni - questo il senso della riflessione proposta - la vocazione non c’entra niente, riducendosi solamente a una prestazione professionale identica a quella di una colf. Che, denuncia l’articolo, non viene poi pagata.
La scelta da parte dell’Osservatore romano è indubbiamente coraggiosa, perché apre un fronte interno alla Chiesa quando di fronti aperti ce ne sono già numerosi (pensiamo a quello sulla pedofilia) e perché squarciando un velo di ipocrisia tipico della mentalità curiale dà voce a un mondo, quello delle religiose, che sta assumento sempre più forma, spesso critica, all’interno della Chiesa. "Dobbiamo dar vita a una teologia della donna", ha detto più volte Francesco, riconoscendo il ritardo della Chiesa su questo argomento. Le suore da più parti l’hanno preso in parola (molto problematici spesso gli interventi delle americane) e reclamano questo spazio non accontentandosi più di svolgere ruoli meramente accuditivi. La presa di posizione della suora e la decisione dell’Osservatore sono parte di questo persorso.