di Lorenzo Guadagnucci
Giorgio Cella, che cosa rappresenta il Donbass per la tradizione russa?
"Dal punto di vista storico, il Donbass è una regione da sempre contesa, fra russi, cosacchi, ottomani. Faceva anche parte di quel piano imperiale di Caterina II chiamato Novorossiya, Nuova Russia: era l’idea di creare una zona russa sul limes fra mondo occidentale e steppe eurasiatiche". Cella è uno studioso esperto dell’Europa orientale, autore di Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi (Carocci), uscito alla vigilia della crisi ucraina.
E il Donbass di oggi che cosa rappresenta per il regime di Putin?
"È il ritorno al punto nevralgico del conflitto del 2014. Non dimentichiamo che in questa regione, solo in parte occupata dalle repubbliche filorusse, si combatte da otto anni. È una guerra impropriamente definita ‘a bassa intensità’, se pensiamo che ha provocato 13-14 mila morti e distruzioni importanti".
È corretto definire il Donbass come una regione filorussa?
"Gli abitanti sono in larga parte russofoni, se poi questo significhi che sono anche russofili e in quale misura, non possiamo determinarlo con precisione. È probabile che lo siano e Putin giustifica l’invasione con la necessità di proteggere questa parte di popolazione dagli attacchi ucraini, ma abbiamo visto una resistenza sia militare sia civile all’invasione anche in aree dove è tradizionalmente forte l’influenza russa, come Mariupol, Mykolaiev, la stessa Odessa".
La conquista del Donbass sarebbe per Putin un ritorno sulle orme di Caterina II?
"Una certa retorica e il precedente della Novorossiya indubbiamente richiamano la memoria zarista, ma le operazioni militari vanno valutate anche nell’ottica di futuri trattati di pace, quando la situazione militare si sarà stabilizzata. È possibile che ci sia una seconda offensiva oltre il Donbass, con il tentativo di conquista delle regioni meridionali sul mar Nero, fino a Odessa e forse alla Transnistria. Conquiste, magari, da spendere sul tavolo dei negoziati. Lo vedremo. Certo il Donbass, al momento, sembra l’obiettivo cruciale, specie se Putin vorrà davvero esibire delle conquiste territoriali il 9 maggio, nel giorno in cui si celebra la vittoria sovietica sulla Germania nazista".
Lei nel suo libro parla di una popolazione ucraina divisa fra filoccidentali e filorussi e di un confronto fra i due sistemi per la “conquista dei cuori e delle menti“. Che cosa resta di tutto ciò?
"Il dilemma rimane attualissimo. Ora parlano le armi, ma una volta finito il conflitto bisognerà vedere se e come cambierà la mentalità degli ucraini, quale sarà la loro tensione. Rimarrà verso l’Unione europea? Penso di sì, ma bisognerà anche vedere se l’altra parte che resterà o finirà sotto il controllo russo si adeguerà o se nel lungo periodo avrà altre tentazioni".
Che ruolo può avere l’Unione europea in tutto questo?
"Al momento non sta svolgendo alcun ruolo. È un’assenza che si somma quanto meno a otto anni di pigrizia e di disattenzione: la guerra in Donbass non è stata seguita e affrontata con azioni diplomatiche adeguate. Eppure l’Unione dovrà rimediare a queste mancanze e tornare a occuparsi delle sue periferie orientali. Come diceva Giovanni Paolo II l’Europa ha due polmoni, uno occidentale l’altro orientale, e dovrebbero respirare insieme".