di Ettore Maria Colombo
"Inviare armi all’Ucraina significa essere cobelligeranti e anche noi in guerra. Cerchiamo di farla finire in fretta" il primo concetto, ‘pacifista’. A cui segue un corollario da raffinata realpolitik: "Se dovessimo inviare armi, sarebbe meglio non farne tanta pubblicità". Parola di Silvio Berlusconi, sceso a Napoli, in compagnia della fidanzata Marta Fascina, per la convention di FI L’Italia del futuro, seconda tappa dopo Roma. Il secondo concetto è di strategia diplomatica: "L’Europa si deve mettere tutta unita insieme e fare una proposta di pace a Putin e agli ucraini, cercando di far accogliere dagli ucraini quelle che sono le domande di Putin". E qui arriva la stilettata a Nato e Gran Bretagna che "non sanno portare Putin al tavolo" (la colpa è la loro, cioè). Il terzo concetto è da ‘padre’ affettuoso degli italiani e dei loro bilanci familiari: le sanzioni "hanno fatto molto male all’economia sovietica (sic), ma hanno fatto molto male anche a noi". Rischiamo – è la profezia catastrofica del Cav – "la chiusura di migliaia di aziende, la perdita di tre milioni di posti di lavoro, il dilagare della povertà in Italia, di andare in giro d’inverno col cappotto addosso in casa e la cambiale in mano".
Forse Silvio Berlusconi "ha fatto il suo tempo", come dice l’ex ideologo di Forza Italia, Giuliano Urbani. Forse "un centrodestra ’normale’ non esiste" come provoca Carlo Calenda. Di sicuro non è stato "equivocato" come si augura Toti. E, di sicuro, ogni volta che esce in pubblico fa parlare di sé. Ieri, il fondatore di Forza Italia ha ribaltato l’ultimo anno di politica estera portata avanti da Draghi e dal suo governo che recita: nessun dialogo con Putin finché non si ritira dall’Ucraina e sostegno militare a Kiev, allineamento rigido con le posizioni Nato e Ue. Un Berlusconi ‘ingombrante’, dunque, che entra in tackle scivolato sulla linea e l’agenda Draghi. Farà contento Salvini (e Conte…), meno Meloni, oltre a creare nuovi subbugli e contorcimenti in FI, dove i tre ministri (Brunetta, Carfagna, Gelmini) sono super-draghiani e ultra-atlantisti. Si preannunciano nuove spaccature, forse persino scissioni, dopo lo scontro Gelmini-Ronzulli sulla Lombardia, il fastidio di molti sul protagonismo della Carfagna (che, però, ieri, da Napoli, minimizzava: "Problemi ci sono in tutti i partiti"), le divisioni con gli alleati nelle città al voto, anche se nei sondaggi FI gonfia le vele (10%).
Il resto della giornata napoletana del Cavaliere stinge nel ‘colore’: pranzo a base di mozzarella di bufala e pesce al ristorante Cicciotto, accompagnato da Fascina (in total blu come lui) e Ronzulli, ressa di curiosi e giornalisti fuori che lo attendono per l’esternazione di rito, captatio benevolentiae per i partenopei ("mi dicevano sempre che sono un napoletano nato a Milano, un vulcano di idee come il Vesuvio"), bagno di folla. Infine, nel richiamare la discesa in campo del 1994 ("avevo tutti contro, trovai il coraggio di farlo"), ecco una di quelle sue uscite politically uncorrect che ne fanno un ‘anti-politico’: "Ero molto popolare perché ero il Berlusconi vincente del Milan e il fondatore della tv che aveva regalato alle donne italiane i film al mattino che potevano vedere spolverando e cucinando".