Civitella della Chiana (Arezzo), 24 aprile 2024 – Don Lazzeri si piegò sull’altare e vi posò un vaso di giunchiglie bianche. Chiuse gli occhi. Quel profumo ogni volta gli faceva rivedere sua madre. La osservò sorridere. Poi rialzò la testa, aggiustò la tovaglia sull’altare e si avviò in sagrestia per indossare l’abito talare e cantare la prima messa del mattino. Nella chiesa di Civitella della Chiana, in provincia di Arezzo, nel cuore della Toscana, quel 29 giugno 1944 molte persone avevano già preso posto tra le panche. Era il giorno di San Pietro e Paolo, i santi patroni del paese, c’era aria di festa nonostante negli abitanti albergasse la paura dei nazisti presenti nel territorio e già minacciosi nei giorni precedenti, in seguito a uno scontro a fuoco avvenuto il 18 giugno nel circolo del paese tra alcuni tedeschi che stavano giocando a carte e i partigiani della banda Renzino, che li colpirono provocando nelle fila naziste due morti e due feriti.
Don Lazzeri iniziò a recitare la messa. Alzò le braccia. "In nomine patris…". Improvvisamente, si udirono spari e un fumo acre riempì il tempio. Urla e disperazione squarciarono violentemente la quiete del mattino. Tutti si paralizzarono. Il prete s’interruppe, mentre in chiesa confluivano abitanti terrorizzati. "Ci sono i tedeschi! Ammazzano tutti!". Il priore ne fece entrare il più possibile, poi chiuse l’uscio della chiesa e li benedisse con un segno di croce. Dopo pochi istanti i soldati iniziarono a colpire il portone, urlando al sacerdote di aprire minacciando di dar fuoco a tutto. Il priore, impaurito, obbedì. Gli comparve di fronte una scena apocalittica. I soldati rastrellavano gli uomini e li trascinavano in piazza, incendiavano le case, bruciavano tutto. Don Lazzeri trasalì, si rivolse al comandante. "Loro sono tutti innocenti. Liberateli e prendete me, vi offro la mia vita". Quello sorrise. La carneficina in realtà aveva avuto inizio alle 5 e 30, mentre l’unità Hermann Goering risaliva la collina per massacrare tutti gli abitanti. Ne caddero 149 sotto i colpi delle mitraglie, cercati ovunque, casa per casa, soffitta per soffitta, cantina per cantina, uccisi a gruppi di cinque. Una giovane madre morì bruciata nella propria abitazione, carbonizzata assieme alle figlie di due e cinque anni.
Dopo la strage, le vittime furono derubate di tutti i preziosi e i soldati se ne andarono per continuare gli stermini. A seguire infatti colpirono gli abitati di Cornia, Morcaggiolo, Gebbia, Burrone e Solaria. La stessa tattica, in contemporanea, la applicarono a San Pancrazio, altro paese del vicino comune di Bucine, dove uccisero 71 persone. L’operazione coinvolse in un solo giorno 244 vittime, mentre cinque giorni dopo gli stessi perpetratori si accanirono contro gli abitanti del comune di Cavriglia, dove massacrarono altri 192 civili inermi.
La provincia di Arezzo, quella tragica estate, fu una delle più colpite d’Italia dalla furia nazista. La maggior parte delle vittime e dei loro familiari nel corso di questi 80 anni non ha mai avuto giustizia né penale né civile. Domattina, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sarà a Civitella della Chiana per rendere loro omaggio. Confuso nella folla, in silenzio, ci sarà anche qualche erede di Don Lazzeri. Lui che il giorno di San Pietro e Paolo cadde per ultimo, con un colpo di pistola alla nuca. Qualcuno domattina, tra quelle pietre, poserà un mazzolino di giunchiglie.
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