Domenica 8 Settembre 2024
ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Strage in famiglia, il pedagogista: “Relazioni solo virtuali, i ragazzi non sanno gestire le emozioni”

Stefano Rossi, psicopedagogista, e la generazione iperdigitalizzata: “Il bando dei cellulari? Andava esteso anche alle superiori”

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Da sinistra, Lorenzo, 12 anni, Riccardo, 17, papà Fabio, 51, e sotto mamma Daniela, 49

Milano, 4 settembre 2024 – Gli adolescenti sono sempre più isolati e così non sanno gestire più le emozioni”. Il caso di Riccardo, il 17enne reo confesso della strage familiare di Paderno Dugnano, è un “episodio drammaticamente estremo” riflette Stefano Rossi, 42enne psicopedagogista che da circa vent’anni si occupa di educazione emotiva degli adolescenti (il suo ultimo libro è ’Sentimenti malEducati’, Feltrinelli). Nel monologo inframmezzato da lacrime durante l’interrogatorio, “il ragazzo sembra descrivere l’abito emotivo di un’intera generazione”.

Nella confessione ha detto: “Mi sentivo solo anche in mezzo agli altri. Non avevo un vero dialogo con nessuno”.

“La solitudine è il punto fermo della questione, come ha sottolineato la pm dei minori Sabrina Ditaranto, e forse il più importante. Una solitudine però digitale”.

Cosa intende?

“Non è vero che i ragazzi non abbiano più relazioni. Ma sono virtuali, fragili e superficiali: viviamo in una società di connessioni che si perdono velocemente nel Maelström di internet. La precedente società dei legami invece era basata su rapporti in carne e ossa, basati sulla condivisione. Ci si poteva affidare totalmente all’amico e raccontargli tutto, anche il mostro che si ha dentro. La condivisione è il primo strumento per imparare a gestire le emozioni. Per come funziona il nostro cervello emotivo, se si riesce ad affermare che si è tristi o arrabbiati si riesce ad addolcire le emozioni. Nominare equivale a regolare. Se l’altro è un estraneo, si seppellisce la disperazione dentro di sé”.

“Vivevo un disagio”, ha detto Riccardo, senza chiarire il movente del triplice omicidio.

“È come se avesse chiuso il dolore e l’angoscia in un forziere nascosto: a un certo punto sono tracimati nel più tragico dei modi. Se non si riesce a dare un nome alle emozioni, queste si fanno sentire in modo sempre più violento. È come se il cuore si riempisse di sassi. Per tentare di alleggerirlo, i ragazzi possono scagliarli contro di sé praticando autolesionismo, automortificazione, panico, disturbi del comportamento alimentare. Oppure far partire una sassaiola: bullismo, provocazioni ai docenti e comportamenti anti-sociali”.

Che fare?

“Se parliamo di prevenzione occorre investire sull’educazione emotiva, cioè insegnare sin da bambini a dare un nome alle proprie emozioni. E puntare sul metodo della didattica cooperativa, basato su attività collettive e soluzione di problemi creativi. Per imparare, occhi negli occhi, abilità sociali come la condivisione, l’empatia, l’ascolto, la gestione costruttiva di un conflitto. La direzione che si sta prendendo nelle scuole, verso l’iperdigitalizzazione, mi lascia perplesso, per usare un eufemismo”.

Però la circolare del ministro Valditara mette al bando i cellulari dalle aule almeno fino alle scuole medie.

“Credo che il ministro avrebbe dovuto avere il coraggio di estenderla anche alle superiori. Ci sono prof disperati perché hanno alunni ’altrove’, avendo il cellulare sotto il banco. Ma la regolazione digitale dovrebbe avvenire anche nelle famiglie. In casa consiglio di tenere una digital box, una scatola dove tutti possano depositare i dispositivi elettronici. E, ancora più importante: non va lasciato il telefonino di notte agli adolescenti. Ci sono ragazzi che arrivano a scuola devastati perché chattano o guardano video fino alle 4 di notte”.