Venerdì 22 Novembre 2024
STEFANO BROGIONI
Cronaca

Strage dell’Erasmus Morto l’autista del bus Sette famiglie italiane non avranno giustizia

Il 70enne era l’unico imputato di un processo iniziato nel 2016. Scioperi, ritardi e slittamenti, il dolore dei familiari delle ragazze:. "Finisce la battaglia legale, nessuno ci avrebbe ridato le nostre figlie".

di Stefano Brogioni

C’erano tredici morti e un solo imputato, sette anni dopo una tragedia costata la vita a sette giovanissime studentesse italiane. Ma per Elena, Elisa ed Elisa, Francesca, Lucrezia, Serena e Valentina la giustizia finisce qui: Santiago Rodriguez Jimenez, l’autista del bus che il 20 marzo del 2016 finì contro un guardrail auostradale a Freginals, in Spagna, provocando la maledettamente nota strage dell’Erasmus, è morto per un infarto. Aveva 70 anni. La morte del reo estingue il reato, cancella il processo. Una beffa per le famiglie, che pur di avere un epilogo di una farraginosa altalena giudiziaria, avevano acconsentito ad un patteggiamento. Ma il decesso dell’autista (che quella notte si addormentò al volante, era l’unico conducente in servizio) è arrivato prima di quell’udienza, beffardamente agevolata da uno sciopero delle cancellerie dei tribunali iberici che ha contribuito a far ulteriormente slittare un processo comunque troppo lungo.

Per ben due volte, infatti, la procura spagnola aveva chiesto l’archiviazione di accuse che parevano lampanti. Per arrivare all’imputazione dell’autista, nonostante testimonianze inattaccabili dei sopravvissuti, o dati tecnici inoppugnabili (tipo 77 oscillazioni della velocità del mezzo prima della collisione, sintomo dei colpi di sonno), era servita la tenacia delle famiglie, non soltanto italiane, che si erano opposte a ogni tentativo di chiudere un’indagine senza alcun colpevole. Un ritardo che si è rivelato fatale.

"Finisce quindi la nostra storia giudiziaria. Non sarà emesso nessun verdetto perché la responsabilità penale è personale", scrivono in una lettera i genitori di Valentina Gallo, di Firenze, Elena Maestrini, di Gavorrano (Grosseto), Serena Saracino, di Torino, Francesca Bonello, di Genova, Elisa Valent, di Udine, Elisa Scarascia Mugnozza, di Viterbo, Lucrezia Borghi, fiorentina di Greve in Chianti. Con loro, due ragazze tedesche, una rumena, una dell’Uzbekistan, una francese e una austriaca. Tutte tra i 19 e i 25 anni.

Quella delle famiglie è anche una denuncia verso il ’mercato’ dell’accoglienza studentesca internazionale: la bella esperienza dell’Erasmus finisce sovente nelle mani di imprenditori senza scrupoli che in nome del profitto mettono a repentaglio le vite dei ragazzi. "Vogliamo ricordare – scrivono ancora i genitori –, per chiudere il capitolo più doloroso delle nostre esistenze, quanto abbiamo sempre sostenuto: i veri colpevoli non sarebbero stati comunque in quella aula che non c’era. Nessun segretario in sciopero gli avrebbe notificato un mandato di comparizione. La società di trasporti che aveva consentito ad una persona non più giovane e con problemi di salute di fare un viaggio troppo lungo senza un sostituto; l’associazione studentesca (ospitata e sponsorizzata da un ateneo che poi si è dissociato) rea di aver organizzato una gita nella quale degli autisti dovevano viaggiare e stare svegli per più di 24 ore consecutive; il rappresentante dell’associazione stessa che la mattina aveva ripreso l’autista vedendolo incline a colpi di sonno, ma che dopo la mezzanotte aveva fatto salire su quel pullman 50 persone, senza chiedere una sostituzione alla guida. Le autostrade spagnole, i cui guard rail erano e sono tanto tanto vecchi. Fossero stati anche tutti puniti, le nostre figlie non ci sarebbero comunque più".

"Il nostro appello – concludono – è rivolto a coloro che hanno responsabilità e che possono fare in modo di cambiare le cose, esercitando maggiori controlli su chi spende il loro nome; disciplinando una volta per tutte il trasporto di persone senza avere paura di toccare interessi economici; stabilendo regole uniformi di risarcimento del danno che valorizzino la vita e inducano a condotte prudenti. Solo così l’Europa di cui le nostre figlie si sentivano cittadine, potrà essere un posto sicuro e giusto".

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