Roma, 3 novembre 2024 – Vecchi, con strutture inadeguate, pochi servizi e spesso collocati in aree ad alta densità. Altro che Champions League. Nello speciale campionato dedicato agli stadi di calcio, l’Italia da decenni gioca in serie B e annaspa fra gli ultimi posti della classifica. Del resto, con strutture che hanno un’età media di 61 anni, c’è poco da ragionare: siamo fuori mercato da anni. L’unico scatto c’è stato, sia pure fra scontri politici e inchieste giudiziarie, con Italia ’90. Poi il silenzio, con pochi squilli di tromba, come quello dell’Allianz Stadium di Torino.
I numeri sono poco incoraggianti: uno stadio su 3 non ha piste di atletica, né uno Skybox, né punti vendita per le attività commerciali. Una debacle resa ancora più amara da quello che, nel frattempo, si è verificato negli altri Paesi. Negli ultimi dieci anni in Europa sono spuntati 153 nuovi impianti. In Italia solo tre. Una condanna? Non proprio. Perché i progetti (e, con questi, i sogni dei tifosi) non mancano. Al momento, secondo l’ultima ricognizione disponibile, sono sulla pista di decollo almeno 14 interventi, per un investimento complessivo di 3 miliardi di euro. Progetti che avrebbero un effetto moltiplicatore sul Pil per circa 5 miliardi e un impatto di 12mila nuovi posti sul fronte dell’occupazione. Ma non basta. Perché i nuovi impianti farebbero lievitare i guadagni delle società (o degli enti) che gestiscono gli impianti, portando oltre 3,3 milioni di spettatori in più sugli spalti con un’impennata dei ricavi per 200 milioni di euro. Una boccata d’ossigeno anche per i club della serie A che, al momento, non riescono a mantenere il passo delle squadre europee più blasonate.
Giusto per dare un’idea del fenomeno, Inter e Milan nella loro migliore stagione di sempre, non hanno superato gli 80 milioni di euro. Arsenal e Tottenham incassano ben oltre i 100 milioni. Senza contare alle big assolute come Psg e Barcellona che superano addirittura i 150 milioni. In generale, la media dei ricavi da gara per la Serie A nel 2022/23 è stata di 20 milioni di euro per ciascun club: peggio fa solo la Ligue 1 (14 milioni di media), mentre sopra i club italiani ci sono Premier League (50 milioni), Liga (31 milioni) e Bundesliga (30 milioni). Non sarà un caso se questa classifica rispecchia anche le gerarchie dei valori messi in campo nelle competizioni europee.
Ma perché l’Italia è rimasta così indietro? La storia degli stadi è un po’ lo specchio di quello che succede nelle grandi opere, con tempi medi di realizzazione che superano di oltre il 30% quelli europei. Con punte addirittura del 50% se si considerano i passaggi di carte fra i diversi uffici che devono rilasciare i nulla osta. Insomma, la burocrazia resta il primo grande ostacolo per la realizzazione degli impianti. Ma non è il solo. Spesso bisogna fare i conti con le beghe politiche dei diversi enti chiamati ad esprimere un parere sui progetti. Per avere un’idea è sufficiente scorrere le cronache relative al nuovo stadio della Roma di James Pallotta a Tor di Valle o al nuovo San Siro voluto da Inter e Milan. Una melina senza fine alimentata anche dagli scontri fra i diversi partiti in campo. Infine, ci sono poi i problemi di copertura dei costi: una volta avviata l’opera, i valori tendono costantemente ad aumentare, creando non pochi problemi alle asfittiche casse dei Comuni o degli enti finanziatori. Le possibilità di rimonta sono, per il momento, tutte affidate alla chance del 2032, quando Roma e Istanbul ospiteranno il campionato europeo. Abbiamo tempo fino al 1 ottobre del 2026 per adeguare almeno 5 impianti e non perdere l’occasione. Ma, per farlo, servirebbe uno scatto da campioni.