Sabato 15 Febbraio 2025
REDAZIONE CRONACA

Spesa sanitaria delle famiglie in crescita, Italia quinta in Ue: di 40 miliardi il 40% per prestazioni inutili

Dal report Gimbe emergono disuguaglianze e rischi per il Sistema sanitario nazionale. In Lombardia la spesa pro-capite più alta: oltre mille euro. In Sardegna il 13,7% dei cittadini rinuncia alle cure

Un esame diagnostico

Un esame diagnostico

Roma, 18 febbraio 2025 – Cresce la spesa sanitaria delle famiglie e nel 2023 supera i 40 miliardi di euro, con un incremento del 26,8% in 10 anni, tra il 2012 e il 2022. L’aumento della spesa “out-of-pocket” è anche effetto delle crescenti difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale, ma non rappresenta, da sola, un indicatore affidabile per valutare le mancate tutele pubbliche, sia perché circa il 40% riguarda prestazioni a basso valore, sia perché è frenata dall’incapacità di spesa delle famiglie e dalla rinuncia a prestazioni per reali bisogni di salute. Di conseguenza, l’ipotesi ventilata dalla politica di ridurre la spesa out-of-pocket semplicemente aumentando quella intermediata da fondi sanitari e assicurazioni non appare realistica. È quanto emerge dal Report dell’osservatorio Gimbe sulla spesa sanitaria privata in Italia nel 2023, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato oggi al Cnel.

L’analisi

Lo studio ha analizzato il peso economico crescente sostenuto dalle famiglie e le criticità del sistema della sanità integrativa. "L’aumento della spesa out-of-pocket non è solo il sintomo di un sottofinanziamento della sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – ma anche un indicatore delle crescenti difficoltà di accesso al SSN. L’impossibilità di accedere a cure necessarie a causa delle interminabili liste di attesa determina un impatto economico sempre maggiore, specie per le fasce socio-economiche più fragili che spesso non riescono a sostenerlo, limitando le spese o rinunciando alle prestazioni”.

I quattro dataset istituzionali

In Italia, la spesa out-of-pocket è rilevabile attraverso quattro dataset istituzionali: tre dell’Istat (Sha, Conti Nazionali e indagine campionaria sulle famiglie) e il Sistema Tessera Sanitaria, che raccoglie i dati per la dichiarazione dei redditi precompilata. Questi dataset differiscono per metodologia di raccolta dati, fonti e livello di dettaglio analitico, determinando variazioni nell’entità della spesa out-of-pocket e nelle categorie che la compongono.

I numeri

Secondo i dati Istat-Sha, nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia ha raggiunto 176,1 miliardi di euro di cui 130,3 miliardi di spesa pubblica (74%), 40,6 miliardi di spesa privata pagata direttamente dalle famiglie (23%) e 5,2 miliardi di spesa privata intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (3%). Considerando solo la spesa privata, l’88,6% è a carico diretto delle famiglie, mentre solo l’11,4% è intermediata. "Questi valori – commenta Cartabellotta – riflettono tre fenomeni chiave: il sottofinanziamento pubblico, l’ipotrofia del sistema di intermediazione e il crescente carico economico sulle famiglie. Siamo molto lontani dalla soglia suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: per garantire equità e accessibilità alle cure, la spesa out-of-pocket non dovrebbe superare il 15% della spesa sanitaria totale”.

Le differenze tra regioni

Parametrando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente Istat all’1 gennaio 2023, il valore nazionale è di 730 euro pro-capite, con un range che va dai 1.023 della Lombardia ai 377 della Basilicata Questa distribuzione evidenzia che le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. 

Italia sopra media paesi Ue per spesa out-of-pocket

La spesa sanitaria out-of-pocket pro-capite, pari a 1.115 dollari, supera sia la media Ocse che quella dei paesi Ue (entrambe pari a 906 dollari), con una differenza di 209. Tra gli stati membri dell’Ue, solo Portogallo, Belgio, Austria e Lituania spendono più dell’Italia. Tuttavia, l’Italia resta nettamente indietro rispetto agli altri Paesi europei per quanto riguarda la spesa intermediata; con un valore pro-capite di 143 dollari, il dato italiano è meno della metà della media Ocse (299) e ben al di sotto della media dei paesi Ue (262). Tra gli stati membri dell’Ue, ben 12 spendono più dell’Italia, con differenze che vanno dai +33 della Danimarca ai +688 dell’Irlanda, mentre altri 9 paesi spendono meno: dai -5 della Grecia ai -116 della Repubblica Slovacca.

Per cosa spendono le famiglie

Secondo i dati Istat-Sha le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale (18,1 miliardi di euro). Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a 15 miliardi) e assistenza a lungo termine, che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di 4,4 miliardi. Ma secondo le stime effettuate nel report circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali. come ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate.

Rinuncia alle cure

La spesa sanitaria delle famiglie è sempre più “arginata” da fenomeni che incidono negativamente sulla salute delle persone: limitazione delle spese sanitarie, che nel 2023 ha coinvolto il 15,7% delle famiglie, indisponibilità economica temporanea per far fronte alle spese mediche (5,1% delle famiglie nel 2023) e rinuncia alle cure. In particolare, nel 2023 circa 4,5 milioni di persone hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600mila persone rispetto al 2022. Le differenze regionali sono marcate: 9 Regioni superano la media nazionale (7,6%), con la Sardegna (13,7%) e il Lazio (10,5%) oltre il 10%. Al contrario, 12 Regioni si collocano sotto la media, con la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia che registrano il valore più basso (5,1%).

Sanità integrativa ancora marginale

La spesa intermediata attraverso fondi sanitari, polizze individuali e altre forme di finanziamento collettivo rimane limitata: nel 2023 ammonta a 5,2 miliardi di euro, ovvero il 3% della spesa sanitaria totale e l’11,4% di quella privata. Dal report emergono due dati di particolare rilevanza. Il primo è che il 31,6% della spesa intermediata viene assorbito dai costi di gestione, mentre poco meno del 70% è destinato a servizi e prestazioni per gli iscritti. Il secondo evidenzia che tra il 2020 e il 2023 i fondi sanitari integrativi hanno progressivamente aumentato le risorse destinate all’erogazione di prestazioni, riducendo il margine rispetto alle quote incassate. “In altri termini – continua Cartabellotta – la crisi della sanità pubblica e, soprattutto, la sua incapacità di garantire prestazioni tempestive stanno spostando sempre più bisogni di salute sui fondi sanitari, mettendo a rischio la loro stessa sostenibilità”.

Gli ambiti di intervento prioritari

In questa prospettiva, il report Gimbe offre un quadro chiaro delle dinamiche della spesa out-of-pocket e individua gli ambiti di intervento prioritari per il legislatore, sia sul fronte della riforma della sanità integrativa che delle detrazioni per le spese sanitarie. “Il dibattito sull’entità della spesa out-of-pocket da intermediare – rileva il presidente della Fondazione Gimbe – si basa su un quadro distorto. La spesa delle famiglie, infatti, è da un lato ‘arginata’ dalle difficoltà economiche, dall’altro è ‘gonfiata’ dalla spesa a basso valore, indotta da inappropriatezza, consumismo sanitario e capacità di spesa individuale. In secondo luogo le tre componenti della spesa sanitaria (pubblica, out-of-pocket e intermediata) non obbediscono alla legge dei vasi comunicanti. Le nostre stime dimostrano che poco più del 60% della spesa out-of-pocket è di valore elevato, mentre il restante quasi 40% è destinato a prestazioni di basso valore, la cui intermediazione non apporterebbe alcun beneficio in termini di salute. Di conseguenza, risulta totalmente infondata l’ipotesi di rilanciare il Sssn ‘mettendo a sistema’ gli oltre 40 miliardi di spesa out-of-pocket attraverso la sanità integrativa”.

La soluzione in tre mosse

Secondo Cartabellotta “ridurre la spesa out-of-pocket richiede un approccio di sistema articolato in tre azioni: rilancio del finanziamento pubblico, da destinare in primis alla valorizzazione del personale sanitario per rendere più attrattiva la carriera nel Ssn. In secondo luogo, maggiore sensibilizzazione dei cittadini per contrastare gli eccessi di medicalizzazione e una formazione mirata dei medici per limitare le prescrizioni inappropriate. Infine, una rimodulazione del perimetro dei Lea, oggi insostenibili per il numero di prestazioni incluse rispetto alle risorse pubbliche disponibili, per restituire al secondo pilastro il ruolo primario d’integrazione rispetto alle prestazioni non incluse nei Lea, come l’odontoiatria e la long-term-care, alleggerendo così la spesa delle famiglie”. “Infine – conclude il presidente della Fondazione Gimbe – considerato che la richiesta di rimborsi da parte dei fondi sanitari cresce proporzionalmente all’incapacità del Ssn di garantire prestazioni in tempi adeguati, si rischia di compromettere la sostenibilità della sanità integrativa. In definitiva, il secondo pilastro, previa adeguata riforma, può essere sostenibile solo se integrato in un sistema pubblico efficace. Altrimenti rischia di crollare insieme al Ssn, spianando definitivamente la strada alla vera privatizzazione della sanità”.