Ponchia
Un sogno inseguito per 45 anni, spezzato sei volte in semifinale dai francesi. E chi se no. La pétanque è roba loro. Come il pain au chocolat, il fois gras, la quiche lorraine. Trionfare in casa loro, in Borgogna, in quella disciplina in bilico tra arte e nostalgia, è quasi un sacrilegio. Siamo campioni del mondo dopo una volata senza sconfitte, cose da pazzi. Andrea Chiapello, Alessio Cocciolo, Davide Laforè, Diego Rizzi hanno fatto fuori il Madagascar, l’avversario a sorpresa: bollicine pregiate sulle loro teste a Digione. E agli altri, i francesi, girano per forza anche se non dovranno subire il rito infamante delle bocciofile, quell’"embrasser Fanny" che tocca a chi perde 13 a zero. Non esattamente un premio di consolazione: si abbassa la testa e si bacia il fondo schiena di una statuetta con le forme di ragazza, così la disfatta non potrebbe essere più esplicita.
Non ci riguarda, ci siamo presi la medaglia d’oro. E come quando si trattò di decifrare il mistero del curling, adesso abbiamo il dovere di capire di cosa essere fieri. L’imbattibile Jacques Etrille, occhi celesti e broncio corrucciato, sosteneva che la pétanque è uno sforzo intellettuale prima che fisico. Che la cosa più importante è restare rilassati. E che in fondo quello che si va cercando non è un punto ma l’armonia. Su questo andava d’accordo con Louis-Ferdinand Céline: "Ci vedevamo spesso per una partita. Era un amante delle bocce e un pessimo giocatore. Ma era interessante parlare con lui. Aveva le sue idee, per me detestabili, ma era tutt’altro che detestabile". Ecco un buon motivo per deviare in Provenza e infilarsi nell’ossessione: gli incontri.
Di Henri Matisse non si capiva perché passasse tutto quel tempo seduto sulla panchina di un giardino desolato con piccole isole d’erba su un mare di terriccio polveroso. Nessuno osava chiedere perché si incantasse davanti a gente che lanciava sfere di legno, finchè non ci provò la scrittrice Geltrude Stein. E lui rispose: "È una palestra dello sguardo. Nient’altro che un corso accelerato per comprendere come si muove il corpo". Erano anni che osservava dalla finestra del suo studio. Ma fu solo quando si mise seduto su una panchina che colse la bellezza del gesto e lo dipinse a modo suo. Completò "I giocatori di bocce" nel 1908. Poi continuò a contemplare quel rituale che "è un po’ arte e sembra fatto apposta per studiare il movimento".
George Simenon negli anni Settanta predisse l’estinzione: "E’ preoccupante la notizia della chiusura di molti bocciodromi". E invece no, la pétanque gode di ottima salute e in Francia i campi sono aumentati di quasi il 25%, i giocatori occasionali sono più che triplicati. Anche in Italia, dopo un periodo fiacco, crescono i dilettanti e gli iscritti alla Federazione.
Le cose da sapere si imparano facendole. Ma è bene sapere subito che la prima da procurarsi non sono le bocce ma un pubblico capace di ridere. Amici o gente del posto, dove il posto dovrebbe essere un fac simile di Provenza in piena estate, con le cicale che fanno la ola e i platani scudo al sole. Il solito Jacques Etrille diceva che l’approccio è quello degli scacchi, solo che "devi coordinare pensieri e braccio". Di più: "Le bocce sono cultura". Si gioca uno contro uno, a coppie o a terzetti e i giocatori devono lanciare le sfere stando all’interno di un cerchio del diametro di 35-50 cm, con i piedi immobili. Si arriva al 13 o al 15, chi si avvicina più al boccino prende il punto. Una raccomandazione, visto che siamo campioni del mondo: non confondere mai i tre modi diversi di intendere il gioco delle bocce.
La "raffa" è la regina, la più diffusa in Italia, altra cosa il "volo", e altra ancora la nostra "pétanque", la versione francese praticata da uomini e donne, bambini, adulti, seniores, dove la squadra si mette su in fretta e non c’è bisogno di prenotare il campo. Una faccenda fra amici. Ma l’imbattibile Etrille avverte: "Non basta avvicinare una sfera al boccino, devi sapere come rendere impossibile all’avversario giocare. Perché sei fermo, non puoi muoverti: sei il demiurgo delle fortune tue e delle sventure altrui. Prassi e osservazione, la fuffa sta a zero".