La conta dei morti prosegue lenta e tragica: l’ultimo dato ufficiale diffuso dalle autorità di Rabat parla di 2.012 vittime, 2.059 feriti e di un numero imprecisato di dispersi nei villaggi rurali dell’Atlante dove le case sono tutte crollate e si scava sotto le macerie in cerca di miracoli. Uno è avvenuto dopo 16 ore, poi tutto è ripiombato nel silenzio. Il Marocco è sconvolto dal terremoto che si è abbattuto alle 23:11 di venerdì (poco dopo la mezzanotte da noi) a cavallo di montagne e deserto. La scossa principale, trenta secondi, è stata di 6,8 gradi della scala Richter (rilevazioni locali la danno invece al 7,2). L’epicentro non è distante da Marrakech, settantadue chilometri a sud ovest nei pressi di Tata N’Yaaqoub nel municipio di Ighil. L’ipocentro è a 18 chilometri sotto la superficie terrestre. La città Patrimonio mondiale dell’Unesco è gravemente danneggiata, la gente è in fuga. Oltre a Marrakech sono state colpite duramente le province di al-Haouz, Taroudant, Chichaoua, Ouarzazate, Agadir, ma il sisma è stato un incubo notturno in gran parte del Paese, nella confinante Algeria – dove non ci sarebbero vittime - e perfino in Portogallo.
La causa del terremoto è la spinta della placca africana verso quella europea, la stessa che ha fatto nascere per compressione la catena dell’Atlante che separa il deserto dall’Oceano. Nel 1960 i morti nella zona di Agadir, poco lontana da questa, furono quasi 15mila con una magnitudine ben inferiore. "I monti dell’Atlante – spiega il sismologo Carlo Meletti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia - sono una delle due zone del Marocco a maggiore sismicità. L’altra si trova lungo la costa mediterranea, dove nel 1624 a Fez le scosse furono devastanti. La catena montuosa è caratterizzata da un movimento nord-sud fra la cosiddetta ‘Africa stabile’, un continente che si muove quasi come un unico oggetto, e la placca europea".
Alla prima scossa ne sono seguite molte altre, anche di forte intensità, quella delle 15 di ieri ha fatto cadere i muri pericolanti. La più grave è stata però quella di magnitudo 4,8 venti minuti dopo il disastro, avvertita chiaramente a Casablanca, 250 chilometri a nord, con crepe nei palazzi e una vittima per infarto. "Al quarto piano sembravamo sulle giostre – dice Ilaria, una ragazza bolzanina che è in Marocco con il figlio a casa dei genitori del marito -. Siamo scesi di corsa in strada, molti hanno dormito in macchina o per essere più sicuri davanti alla caserma della polizia e in un campo da calcio". L’aeroporto di Marrakech è intasato. Nel terminal è stato allestito un bancone dalle nostre autorità diplomatiche; la Farnesina ha contattato attraverso l’ambasciatore a Rabat, Armando Barucco, i cinquecento connazionali che si trovano in viaggio nel Paese: stanno tutti bene. Sono stati invitati, se non hanno già un biglietto di ritorno da Marrakech, a dirigersi verso gli aeroporti di Casablanca e della capitale.
La mobilitazione nel regno di Muhammad VI – che ha proclamato tre giorni di lutto nazionale - è massima per tutte le forze dell’ordine, i vigili del fuoco, la Protezione civile, l’esercito. Le televisioni continuano a chiedere di recarsi a donare il sangue – lo hanno fatto anche i calciatori marocchini dopo il rinvio della partita di qualificazione per la Coppa d’Africa contro la Costa d’Avorio -: gli ospedali ne hanno disperatamente bisogno per effettuare le trasfusioni ai feriti. Come pure sono necessari diversi farmaci e coperte: la sera nell’Atlante la temperatura crolla vorticosamente e i soccorritori cercano di raggiungere prima possibile le popolazioni disperse prima che sia di nuovo troppo freddo. Sperando di trovare superstiti.