Città del Vaticano, 21 ottobre 2015 - Non un'apertura universale, ma un discernimento delle singole situazioni concrete sotto la supervisione del vescovo locale. Come preannunciato da Quotidiano.net, è questo l’orientamento prevalente sulla questione dell’ostia ai divorziati risposati che emerge al Sinodo dalla terza e ultima tornata di relazioni dei tredici circoli minori. Per il mantenimento, senza se e senza ma della disciplina vigente, contraria sic et simpliciter all’accesso alla Comunione, si sono espressi solo due gruppi: il francese Gallicus A, moderato dal cardinale Robert Sarah – lo stesso che alla vigilia dell’assise disse che l’ostia ai divorziati risposati 'tradisce il Vangelo' –, e l’Anglicus A, guidato dal cardinale George Pell, ‘il postino’ dell’arcinota lettera al Papa contro la svolta liberal al Sinodo. "Rispetto alla situazione di coloro che hanno sperimentato il fallimento del matrimonio", i membri del Circolo italiano A, moderato dal cardinale Francesco Montenegro, si sono trovati d’accordo sull’adozione di "una particolare cura nel distinguere la varietà di situazioni, promuovendo comunque itinerari di fede, di riconciliazione e di integrazione nella comunità ecclesiale", attraverso "un accurato e prudente discernimento pastorale sotto l’autorità finale del vescovo". Nello specifico, è la proposta, "le conferenze episcopali sono chiamate a maturare criteri comuni adeguati alle situazioni delle rispettive Chiese particolari". Un assist alla devolution invocata dal Papa che si evince anche dall’analisi dell’Italicus B del cardinale Edoardo Menichelli: "A tutt’oggi non è possibile stabilire criteri generali inclusivi di tutti i casi, talvolta molto diversificati fra loro". Di qui l’appello al "discernimento, primariamente del vescovo". In un’ottica aperturista si collocano anche le sintesi prodotte dal Circulus Italicus C, moderato dal presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, e dal Circulus Germanicus, in queste settimane particolarmente indirizzato sul sentiero delle riforme, nonostante al suo interno figurino anche conservatori come il custode dell’ortodossia Gerhard Muller e il ministro vaticano per il Dialogo Ecumenico, Kurt Koch. Entrambi i testi rimandano nel dettaglio al concetto teologico del ‘foro interno’, il tribunale della coscienza. "In ordine alla partecipazione alla comunione, ferma restando la dottrina attuale – scrivono gli italiani –, si esorta a discernere in foro interno, sotto la guida del vescovo e di presbiteri designati, le singole situazioni con criteri comuni secondo la virtù di prudenza, educando le comunità cristiane all’accoglienza". Dal canto suo il Germanicus suggerisce di seguire la via di un colloquio fra il divorziato risposato e il proprio padre spirituale. A illustrare la proposta nel dettaglio è stato ieri nel briefing quotidiano in Sala stampa vaticana il liberal Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco: "Il foro interno non è una commissione, ma piuttosto la traduzione di una delle indicazioni fornite da san Tommaso D’Aquino, quando esorta a 'tener conto delle differenti situazioni, operando un discernimento che si ispiri ad alcuni criteri di fondo'. Ad esempio, per i divorziati risposati, si deve tener conto di quello che è avvenuto nel primo matrimonio, delle responsabilità verso la famiglia, del desiderio di riconciliazione". L’orientamento prevalente nei circoli minori sull’ostia si tradurrà, salvo sorprese, in un passaggio della relazione finale del Sinodo. Il documento verrà presentato domani ai 270 padri sinodali per un ultimo e rapido giro di emendamenti in Aula prima della votazione finale attesa per sabato.
CronacaSinodo, ostia ai divorziati. Si va verso valutazione 'caso per caso'