Città del Vaticano, 23 ottobre 2018 - La Chiesa si appresta ad accogliere ufficialmente i giovani omosessuali. In pratica, si viaggia verso lo sdoganamento della pastorale per i gay e le lesbiche fino ad oggi lasciata al buon cuore dei vescovi nelle singole diocesi. Ma allo stesso tempo pesano le resistenze in seno all’episcopato sull’uso dell’acronimo Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali e trans) che, dopo essere entrato - prima volta in un documento vaticano - nel dettato dell’ordine del giorno del Sinodo sui giovani, rischia di non essere bissato nel documento finale dell’assise che sabato sarà approvato e quindi presentato a papa Francesco. Oggi intanto sarà resa nota la lettera dei padri sinodali ai ragazzi, dentro e fuori la Chiesa. L’apertura dovrebbe essere affidato alla richiesta di perdono per le violenze sui minori
La conferma di un nuovo capitolo nel rapporto fra Chiesa e omosessualità è arrivata nel primo pomeriggio di oggi durante il briefing con la stampa sull’andamento dei lavori sinodali. In attesa di poter esaminare stile e contenuti del testo conclusivo, di cui stamane è stata consegnata ai 267 padri sinodali una prima bozza - la stampa stavolta, a dispetto di quanto accaduto allo scorso Sinodo sulla famiglia, è stata lasciata a bocca asciutta -, è toccato al cardinale Luis Tagle, arcivescovo di Manila, rispondere a una ridda di domande sull’atteggiamento ecclesiale nei confronti dei ragazzi omosex.
"Negli interventi in aula e nei gruppi linguistici la questione, il problema, non so bene come chiamarlo, dell'approccio della Chiesa alla comunità Lgbt, è stato presente, lo si è sollevato molte volte - ha detto il porporato filippino, rispondendo a un cronista britannico che evidenziava il rischio per i ragazzi gay di ritenersi ascoltati ma non sentiti dai padri sinodali, qualora venisse abbandonato l’acronimo in cui si identificano a ogni latitudine -. La Chiesa ha il dovere di essere accogliente, di guardare all'umanità di tutti. Abbiamo avuto la bozza soltanto questa mattina ed è spessa, passeremo il pomeriggio e la sera a leggerla, ma penso che il tema nel documento sarà presente, in che forma non lo so. Sono fiducioso che sarà parte del testo finale".
Quanto all’ammissione in seminario di persone omosessuali, considerata un nervo scoperto della Chiesa dalle frange più conservatrici che lamentano una certa manica larga da mettere in correlazione con glil scandali sessuali nel clero, Tagle ha tenuto a non fare confusione: “Insieme col costante rispetto per la dignità umana ci sono anche specifici requisiti che vanno considerati in particolari contesti”. Come il cardinale filippino anche il vescovo di Dolisie, nel Congo, Bienvenu Manamika Bafouakouahou, si trova a suo agio con la dizione di Lgbt. “Io la uso - commenta a margine del briefing -, ma nel testo finale può uscire come non uscire. Siamo in 267 padri sinodali e voteremo paragrafo dopo paragrafo”.
Poi, dribblando una certa chiusura da parte dei vescovi africani sulla tematica omosessuale (“È un problema occidentale, non ci riguarda”, era il refraim al Sinodo sulla famiglia), monsignor Bafouakouahou riconosce che “il tema esiste, riguarda tutti i giovani, gli omosessuali sono una realtà e, pur se in Africa è ancora una questione tabù, l’argomento è rampante e potrebbe prendere piede anche nel nostro continente dove le priorità oggi sono altre”). Tipo il nodo migrazione. “Qui in Europa si crede che la causa di questo fenomeno sia la ricerca da parte dei nostri giovani di un futuro migliore, ma non è l’unica ragione - incalza il presule congolese -. C’è anche, per esempio, il sovvertimento dell’ambiente con la distruzione dei campi da parte delle multinazionali che estraggono petrolio e altre materie prime. I ragazzi sono asfissiati. Se non salviamo la nostra casa comune, se muore la Terra, muore anche l’uomo”.
Lasciando la sala stampa vaticana e conversando con alcuni padri sinodali all’uscita dall’Aula Paolo VI, si percepisce meglio, al di là dei buoni propositi di alcuni presuli, quanto sarà difficile la conferma dell’acronimo Lgbt. “Credo proprio che sparirà dal documento conclusivo - confida il vescovo di Moroto, Uganda, Damiano Guzzetti -. Nel mio circolo minore soprattutto i confratelli australiani hanno sottolineato come l’espressione sia criticata da alcuni omosessuali. Sembra non sia interamente rappresentativa”.
Se possibile appare ancora più in salita la via del voto sul documento finale esteso alle sei suore superiori generali e ai 35 ragazzi presenti al Sinodo come uditori. D’accordo che il Papa fino all’ultimo potrebbe cambiare le carte in tavola, ma il tema non è mai entrato nel dibattito in aula. “Non ne abbiamo parlato e le regole dicono che votano solo i vescovi e i religiosi maschi. In futuro si vedrà”, non va oltre un presule colombiano. Più possibilista il vescovo di Filadelfia, Charles Chaput, noto per le sue posizioni spesso critiche sull’attuale corso vaticano. “Sembra logico che il Sinodo dei vescovi dovrebbe essere per i vescovi; sono ordinati nella successione apostolica; hanno il dovere di guidare la Chiesa; godono di una relazione collegiale con il Santo Padre - è la sua premessa -. Ma se anche ai superiori religiosi maschi viene dato il diritto di voto, e questo, di per sé, dovrebbe essere oggetto di discussione, non ha molto senso escludere le superiori religiose. Allo stesso modo, se ai laici fosse data la facoltà di esprimersi in aula, perché non si dovrebbe estendere la stessa prerogativa alle laiche?” Questi problemi “non sono tanto per l’oggi”, chiosa Chaput, tuttavia “prima o poi dovranno essere affrontati”.