Città del Vaticano, 5 ottobre 2019 - Si calcola che un respiro umano su cinque dipenda dall’Amazzonia. Così come un quinto di bicchieri d’acqua a nostra disposizione. Basterebbero questi due dati ad effetto per dimostrare come il Sinodo speciale dei vescovi sul primo polmone verde della Terra, al via domani in Vaticano (si chiude il 27), non sia e non possa essere un mero summit religioso. La riflessione della Chiesa sulla difesa della biodiversità e sulla valorizzazione e tutela delle popolazioni indigene, in un territorio grande come l’Australia (7,8 milioni di chilometri quadrati) ed esteso su nove Stati (Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname e Guyana Francese), abbraccia il futuro degli uomini e delle donne del nostro tempo. Preoccupano l’impennata d’incendi dolosi (+84% rispetto al 2018), la deforestazione cresciuta del 67% in un anno, le politiche estrattive predatorie (gas e minerali), le riserve degli indigeni sempre più compresse, anche se sono le proposte di riforma ecclesiale nella regione, dall’ordinazione sacerdotale di uomini sposati all’attribuzione alle donne di veri e propri ministeri, a monopolizzare in Occidente il dibattito presinodale.
LA COMPOSIZIONE DELL’ASSISE - Convocato nel 2017 da papa Francesco per rinnovare l’evangelizzazione in un contesto in cui le popolazioni indigene versano in una situazione di crescente difficoltà anche a causa della crisi della foresta pluviale, il Sinodo speciale dei vescovi sull’Amazzonia vedrà la partecipazione di 185 padri sinodali, coadiuvati da esperti, uditori, assistenti e delegati di altre confessioni cristiane. La maggior parte dei presuli proviene dal Sud America, ma non mancano rappresentanti della Curia romana e degli episcopati europei. L’assise segue altre analoghe assemblee, quella in due fasi sulla famiglia e la precedente dedicata ai giovani, che hanno caratterizzato finora il papato di Bergoglio, mettendo in luce come il Pontefice nel Sinodo dei vescovi stia cogliendo lo strumento ideale per una cauta riforma della pastorale, a saldi invariati sulla dottrina.
IL SINODO DEI VESCOVI - Istituita nel 1965 da Paolo VI, con la costituzione Apostolica sollicitudo, l’istituzione sinodale ha come obiettivo principale quello di favorire, in forma stabile, la collegialità episcopale cum et sub Petro anche dopo la conclusione del Concilio Vaticano II. Il Sinodo è in larga parte composto da vescovi e ha una funzione consultiva, salvo diverso indirizzo indicato dal Pontefice. Può essere generale o speciale a seconda che affronti una tematica di per sé universale o locale. A queste due forme Francesco ha aggiunto l’ipotesi di un’assemblea ecumenica nel caso in cui s’intenda sviscerare argomenti che interessino tutte le confessioni cristiane. L’integrazione è contenuta nella costituzione Episcopalis communio di Bergoglio che l’anno scorso ha riformato l’istituzione sinodale nel suo complesso: è stata rafforzata la consultazione della base cattolica nella fase preparatoria; si è sancita la possibilità di allargare la cerchia dei partecipanti all’assise (anche non vescovi, pur se non in qualità di membri); le conclusioni, una volta approvate dal Pontefice, entrano nel magistero ordinario della Chiesa.
I TEMI CALDI - Ecologia integrale ed inculturazione del Vangelo sono le sfide chiavi del Sinodo panamazzonico. Da un lato, sulla falsariga dell’enciclica verde Laudato si’, si avverte l’urgenza di coniugare la tutela della foresta pluviale con la difesa degli indios (solo in Brasile, dal 2003 al 2017 ne sono stati uccisi 1.119 per aver protetto il loro territorio), dall’altro, l’obiettivo è quello di tratteggiare una Chiesa dal volto indigeno, nella convinzione, più volte rimarcata dall’esortazione bergogliana Evangelii gaudium, che non esista un modello di fede unico, da esportare a ogni latitudine. Queste sollecitazioni si traducono nell’Instrumentum laboris dell’assemblea in una serie di proposte concrete che hanno già sollevato una serie di reazioni piccate dal fronte più conservatore. Le più discusse sono le ipotesi di ordinare sacerdoti uomini sposati, di provata fede, preferibilmente indigeni (viri probati) e quella di attribuire ministeri ufficiali alle donne in un contesto amazzonico nel quale spesso sono le mamme a tenere viva la fiamma della fede in villaggi remoti e selvaggi dove, a causa della scarsità di preti, la messa si celebra in alcuni casi anche solo una volta ogni tre anni. L’intento sotteso a questi suggerimenti è duplice: passare da una Chiesa della visita a una della presenza, tra l’altro per tentare di contrastare l’evangelizzazione aggressiva delle comunità pentecostali, e sganciare l’esercizio del potere di governo dal clero per aprirlo ai laici. In nome del sacerdozio universale, comune a tutti i battezzati, e per andare oltre una Chiesa clericale che mal vista in Amazzonia.