Diventavo rossa se qualcuno mi guardava, nel ’79-’80 avevo 13, 14 anni, a dire la verità non è poi che ci fossero queste folle scatenate a fissarmi in continuazione. Ma se putacaso capitava che incrociassi un mezzo occhio puntato su di me, oltre a essere sicuramente uno sbaglio dell’occhio altrui, l’effetto era un imbarazzo incontrollabile. Altro che rossa: rossa, verde, gialla, a strisce, via, fuggire a testa bassa.
Respirare piano per non far rumore? Certo: se si faceva casino, nel nostro bell’appartamento, volavano ceffoni. E niente di cui scandalizzarsi, le regole date dai normalissimi nevrastenici genitori fine anni Settanta erano indiscutibili, a quei tempi funzionava così: se i genitori decidevano che io dovevo stare zitta stavo zitta, punto.
Per forza poi ero sempre assorta, nei miei problemi, nei miei pensieri. E per forza mi vestivo svogliatamente: immaginati l’entusiasmo a metterti i pantaloni passati dal fratello maggiore e il maglioncino smesso dalla mamma. "I soldi mica crescono sugli alberi, non si butta via nulla". Vuoi le Superga? Eccoti le malerga, sono uguali, suvvìa poche storie, ci son cose ben più importanti nella vita della marca di un paio di scarpe.
Mi piaceva studiare? Sì. Me ne vergognavo? Ovvio. Già i pantaloni del fratello ricuciti alla bell’e meglio, già le malerga, poi pure secchiona. Chiara, ma dove vai?
Dove vai? Lì. Vai lì, finisci dritta dentro quella canzone di Vasco Rossi. Lei è me, Albachiara sono io. "Ci si chiude alle spalle il cancelletto della pura fanciullezza – scrive Conrad nella Linea d’ombra – e si entra in un giardino incantato. Persino le sue ombre brillano di speranza, ogni svolta del sentiero ha le sue seduzioni. E non perché si tratti d’un paese inesplorato. Si sa bene che tutta l’umanità ha percorso quella strada. È il fascino dell’esperienza universale, dalla quale ci si aspetta una sensazione personale o straordinaria – un po’ di noi stessi".
Eletta "canzone italiana più amata degli ultimi 45 anni della storia della radio", Albachiara di Vasco Rossi, dal 1979 a oggi, è l’attimo esatto della vita – magicamente, eternamente sospeso –, in cui i sogni e la speranza sopravanzano ogni dolore. Ogni piccolo dolore già provato fino a lì, ogni enorme dolore che proveremo poi, crescendo.
Albachiara è, semplicemente, una promessa di vita. È la promessa a un adolescente – ieri come oggi – di cui Vasco racconta, a inizio brano, con tenerezza, la fragilità. Ma che poi Vasco, nel crescendo dell’assolo elettrico, accompagna verso un’improvvisa e liberatoria presa di coscienza di ogni potenzialità, di ogni sua forza fino ad allora inespressa e pronta a esplodere, un urlo di libertà, un gesto di ribellione.
Un gesto di ribellione che non è l’autoerotismo, o non è solo l’autoerotismo, ma è il trovare piacere – sola nella tua stanza – e rivalersi contro il mondo, troppo difficile amaro insensibile, farlo scomparire, e volare lontano. "Tu sola nella tua stanza, e tutto il mondo fuori".
"C’è qualcosa in cielo che si muove come si decomponesse, ho come la sensazione che tutti i miei peccati mi abbiano giudicato, non posso impedire alla mia immaginazione di sbrigliarsi fra le disastrose immagini del peggio che può capitarci. Tutte le vele della nostra nave possono essere spazzate via. Mi sembra – descrive ancora Conrad il passaggio nella maturità – che tutta la vita anteriore sia infinitamente remota, la memoria della gioventù quasi cancellata, qualcosa che sta al di là di un’ombra".
Ecco, Albachiara sta lì, per tutti, a ricordarci chi eravamo prima di oltrepassare quella linea d’ombra, e chi siamo adesso dopo averla oltrepassata. Ogni delusione che ci ha ferito, le mille lacrime che abbiamo pianto invecchiando, dinnanzi ad Albachiara – per un momento ma sempre – tramontano. Per un momento ma sempre, Albachiara è dove nascono le promesse della giovinezza.