Si sentivano "ombre". Senza Chiara il senso della vita si era ridotto a una pozza di dolore insopportabile. Anche in due, persino incollati a un amore solido. Avevano studiato il modo di andarsene. Si erano informati su come funzionano le cose in Svizzera. Hanno fatto da soli. Una morte pianificata come un trasloco per dare il minimo disturbo: imbottiti di tranquillanti, poi un’iniezione di insulina, una scorciatoia per finire in ipoglicemia e chiudere la partita. Alessandro Giacoletto, medico, 64 anni. Cristina Masera, farmacista di 59, sua moglie. Conosciutissimi a Orbassano, piccolo comune alle porte di Torino. Colti, generosi.
Stimati e osservati con preoccupazione da quella sera d’inverno gelata in cui avevano cominciato a morire davanti al cadavere della figlia. Sapevano per mestiere a cosa andavano incontro con un’overdose dell’ormone che regola il glucosio nel sangue. E lo desideravano disperatamente: alterazione della coscienza, oblio istantaneo. Da esperti, sapevano anche che il passaggio successivo non sarebbe stato né veloce né assicurato. Ma era urgente spegnere la sofferenza incubata senza scampo mese dopo mese, seguire la strada scelta due anni fa dalla loro adorata bambina.
Sono stati trovati privi di sensi in garage, in auto, il 9 dicembre. Portati in ospedale in condizioni disperate, lei è andata in arresto cardiaco ed è morta nove giorni dopo, lui all’antivigilia di Natale. Il 4 febbraio 2022 Chiara Giacoletto si era tolta la vita impiccandosi a un termosifone a parete. Aveva 28 anni, studiava Medicina e amava la letteratura, lo sci alpinismo, l’arrampicata. Tante fotografie, tanti sorrisi. E dentro un buco, la scelta di cercare di riempirlo con l’analisi.
A 5 anni era stata molestata da un parente insospettabile, oggi deceduto. Quella bolla di orrore era venuta a galla quando ne aveva 23 e alla fine l’aveva distrutta. Stava male, intrappolata in una spirale di ansia e attacchi di panico. I genitori avevano cercato di aiutarla, non è bastato. Questa storia è una stratificazione di supplizi. "Suicidio – ripeteva il papà – è un termine inesatto. Chi pone fine alla sua vita a causa di una violenza è vittima di un "omicidio psichico" e il suo aguzzino è un assassino". Non si dava pace. "Hanno sempre detto che l’avrebbero fatta finita – confermano gli amici più stretti – Era già tutto predisposto".
È stata la sorella del medico a trovare i corpi. Alessandro Giacoletto aveva appeso fuori dallo studio un biglietto: "Domani non ci sarò". Dopo avere covato il loro strazio per due anni, lui e la moglie volevano che la loro tragedia fosse conosciuta da tutti. E prima di fare scendere il sipario ne avevano parlato in incontri pubblici dedicati all’abuso sui minori rilasciando anche un’intervista a un giornale locale: "Con noi non si era mai confidata. Eravamo convinti che avesse vissuto un’infanzia serena. Ha parlato degli abusi solo con lo psichiatra. A un certo punto è partita per l’Etiopia, per volontariato, e noi abbiamo letto di nascosto il suo diario. Aveva scritto tutto, ci è crollato il mondo addosso".
Sono morti quel giorno. Hanno venduto la farmacia, devoluto il ricavato ai bimbi etiopi. In occasione di una campagna di Emergency Alessandro guardava oltre il proprio dramma: "Bisogna fare attenzione, come genitori. Affinare le capacità di percepire i segnali e di scovare i mostri che si nascondono molto bene nei luoghi più impensabili". Spiegava: "Le violenze creano ferite indelebili, la mente spesso rimuove il trauma subito da piccoli che però scava per anni e riemerge quando ormai il tarlo è talmente grande che nemmeno il miglior psichiatra dell’universo poi può riuscire a ricomporre la frattura". Aggiungeva: "I bambini sono fragili come farfalle. Quando a una farfalla tocchi le ali, smette di volare". Avevano già tutto in mente. "Chiara – ripeteva agli amici – era la nostra unica figlia. Vivere non ha più senso".