Che cosa hanno in comune Magdalena Andersson, Sanna Marin e Annalena Baerbock? Sono donne, di sinistra, di solida formazione e radicata militanza socialdemocratica o liberal-progressista. Sono femministe, orgogliose di esserlo, ambientaliste della prima ora, di convinta cultura Lgbt, europeiste di prim’ordine, dalle profonde radici pacifiste. Sono anche laiche, eppure ugualmente portatrici di quella sostanzialista etica protestante parte integrante della constituency delle culture politiche del Nord-Europa. Ma le due premier, finlandese e svedese, e la ministra degli Esteri tedesca (leader dei Verdi con Robert Habeck, vicecancelliere e ministro dell’Economia) hanno in comune, oggi, anche altre caratteristiche. Sono, tutte e tre, determinatamente contro Putin e a favore del sostegno, con le armi, all’Ucraina. E sono, allo stesso tempo, per l’ingresso rapido di Finlandia e Svezia nella Nato. Dunque, secondo la sterile vulgata di certo pacifismo unilateralista, principalmente italiano, le tre protagoniste del contrasto all’aggressione dello Zar di Mosca avrebbero tradito ideali e valori del Sol dell’Avvenire o di altri soli per diventare atlantiste, militariste, oltranziste del pensiero unico occidentale.
E, invece, no. Non c’è niente di più coerente tra la tradizione del pragmatismo riformista delle socialdemocrazie nordiche e le scelte, anche drastiche, dettate dalle ragioni del tempo nuovo e drammatico che incombe. Mentre solo la gabbia ideologica di matrice comunista può far scattare i riflessi condizionati dell’anti-atlantismo e dell’anti-americanismo che vanno in scena in ambienti della sinistra radicale e non solo. Certo, non abbiamo avuto la nostra Bad Godesberg, ma il più grande Partito comunista dell’Occidente e poco hanno potuto le svolte di Giuseppe Saragat e Pietro Nenni nel segno del riformismo socialista: e gli effetti delle differenze si vedono rispetto agli altri Paesi europei. Ma, in realtà, c’entra, a spiegare l’irenismo velleitario italico anche certa impostazione cattolica, anche’essa votata all’idealismo a prescindere.
Magdalena Andersson, Sanna Marin e Annalena Baerbock, insomma, non sono né una mutazione genetica del progressismo di sinistra europeo né la punta avanzata del globalismo al servizio delle multinazionali americane. Né tantomeno sono state allevate nelle scuole della Cia o della Nato. Non solo sono l’evoluzione compiuta delle socialdemocrazie nordiche e dei Grunen tedeschi. Ma hanno partiti e popolo dietro di loro.
Il caso tedesco è emblematico: la Baerbock, 41 anni, partecipa fin da ragazza alle manifestazioni contro il nucleare, per i diritti civili, il pacifismo e il disarmo organizzate dai Verdi. Ma, quando scoppia il conflitto russo-ucraino, non esita a schierarsi contro il gasdotto Nord Stream 2 e a spingere per l’invio di armi pesanti all’Ucraina, nell’ottica della difesa delle democrazie contro le autocrazie russe e cinesi. Una determinazione che paga: nelle elezioni recenti del Nordreno-Vestfalia, volano i Verdi, mentre la Spd del cancelliere Scholz, tentennante sugli aiuti militari, scende al minimo.
Sanna Marin, a sua volta, ha dietro di sé un percorso da giovane socialdemocratica esemplare: 36 anni, cresciuta in una famiglia arcobaleno, studi e lavoro ("la prima nella mia famiglia a laurearsi"), guida un governo con dentro anche esponenti della sinistra radicale. Non perde un secondo per una posizione netta verso l’ingombrante vicino di sempre, l’Urss ieri, la Russia di Putin oggi. "Guardare la guerra in Ucraina è come rivivere la storia – spiega Iro Sarkka, università di Helsinki – I finlandesi guardano al loro confine con la Russia, 1.340 chilometri, e pensano “potrebbe succedere anche a noi?”".
È meno giovane Eva Magdalena Andersson, dall’autunno alla guida dell’esecutivo svedese: e dalla sua ha un lungo impegno politico nelle fila della socialdemocrazia di Stoccolma. Ma anche lei, poco più che cinquantenne, si sente nella scia di un padre nobile del suo partito, Olof Palme, quando, pragmaticamente, sceglie lo scudo Nato per proteggere il suo Paese. E così si realizza il capolavoro putiniano che riesce a fare quello che neanche l’Urss aveva prodotto: l’adesione all’Alleanza atlantica. Con la firma di due pacifiste concrete.