Reggio Emilia, 23 novembre 2024 – “Se fossi rimasta in Pakistan sarei stata uccisa. Mio marito A. ci aveva già provato due volte, gettandomi addosso nafta e provando a darmi fuoco. Ora in Italia il mio futuro non sarà come il mio passato, e spero di dare ai miei tre bambini ciò che io non ho avuto: la possibilità di seguire e vivere i loro sogni”. Sundus Alì, 37 anni, sopravvissuta come una prigioniera, vuole cominciare una nuova vita. Parla un po’ in inglese, un po’ in un italiano stentato dall’accento dolce: “L’ho imparato su YouTube. Scrivevo dietro a cartoncini perché A. non mi ha mai comprato nemmeno un quaderno”.
Lei dove si trova adesso?
“In una struttura protetta in Italia. Mi hanno portato via dal Pakistan con un’operazione svolta dall’ambasciata italiana, Interpol e forze di polizia italiane, Procura e Servizi sociali di Reggio Emilia”.
Chi era prima del matrimonio?
“Abitavo a Sargodha, 150 km a sud della capitale. Ero un’artista autodidatta: dipingevo quadri a olio, decoravo abiti e sciarpe. Volevo studiare e lavorare, ma la mia famiglia ha deciso che a 18 anni dovevo sposare mio cugino. Come mia sorella. Dicevano: ’Studierai dopo il matrimonio’”.
Lui quando ha iniziato a picchiarla?
“Dopo le nozze. Mi torturava se non trovava le chiavi, se il cibo era salato, se aveva discusso sul lavoro. I miei dicevano: ’Se avrai un figlio, lui si calmerà’. Così non è stato. Quando non ne potevo più, scappavo dai miei genitori, ma loro mi rimandavano indietro. Mi picchiava anche mia suocera”.
Quando si è trasferita a Reggio Emilia?
“Nel 2006, lì sono nati gli altri due miei figli. Ero prigioniera: quando A. andava a lavorare in fabbrica, mi chiudeva a chiave in casa. Non avevo soldi per l’autobus, non potevo fare la spesa da sola. Mi consentiva solo di accompagnare i bambini a scuola, e di portare a piedi la bimba a fare terapie in ospedale. Lui teneva i miei documenti, il reddito di cittadinanza, l’assegno familiare, i soldi. Chiudeva la porta della camera dei bambini, serrava le imposte e mi batteva. Pretendeva sempre sesso”.
Quando ha deciso di ribellarsi?
“Nel 2023 abbiamo fatto un pellegrinaggio in Arabia, dove lui mi ha annunciato che voleva una seconda moglie. Ho detto sì in cambio del divorzio e della restituzione dei miei beni, ma A. mi ha portato in Pakistan con i figli. Per mesi sono stata chiusa in casa, frustata, torturata, minacciata di essere bruciata”.
Come si è salvata?
“Sono riuscita a recuperare un cellulare e ho inviato una email alle insegnanti reggiane dei miei figli e ho fatto due telefonate: ai Servizi sociali e alla Questura di Reggio. Ho detto: salvatemi sennò mi uccidono. Adesso io e i bambini siamo al sicuro. Ma A. è tornato in Italia e ci sta cercando: gli è stato applicato il braccialetto elettronico, spero che vada in prigione”.