Lunedì 2 Settembre 2024
SIMONA BALLATORE
Cronaca

Via Paravia, la scuola elementare di Milano con il 100% di alunni stranieri: “Ma sono tutti nati in Italia. Le quote? Impraticabili"

L’istituto di frontiera a San Siro: i bambini sono egiziani, romeni e sudamericani. Intervista alla preside Borando: "Ancora pregiudizi. Didattica innovativa e sperimentazione per non perdere studenti italiani"

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Una classe della scuola elementare Radice, nel quartiere San Siro a Milano, dove non ci sono alunni italiani

Milano – «Qui il 100% degli alunni è straniero. Ma in realtà sono tutti bimbi nati in Italia". Milano, via Paravia, quartiere San Siro. Annamaria Borando, preside del vicino istituto superiore Galilei-Luxemburg, è la reggente della primaria Radice. Lo era stata anche cinque anni fa, quando la percentuale di alunni stranieri era del 99%. "Da settembre il comprensivo Calasanzio, di cui fa parte, avrà una sua preside, che assicurerà continuità", confida Borando, che dirigerà un’altra scuola di frontiera.

C’è stata una fuga delle famiglie italiane verso il centro?

"Non proprio, anche se lo stereotipo c’è ancora. È il riflesso della popolazione che abita qui. La maggioranza è arabofona, nelle classi abbiamo soprattutto alunni di origini egiziane, romene, pochi sudamericani".

Ma i pochi italiani che abitano qui vicino dove vanno?

"Vengono richiamati dalle scuole paritarie. Con tanti stranieri in classe temono ritardi nei programmi e che i figli subiranno contraccolpi per aspettare gli altri. Non è così: sono nati in Italia, ci sono alunni intelligenti e con difficoltà come nelle classi di tutto il mondo. E proseguono alle medie, dove la popolazione straniera è intorno al 30% e le richieste sono altissime".

Stesso quartiere, percentuali così diverse: perché?

"L’offerta formativa è diversificata: è stato il primo comprensivo con sperimentazione musicale di Milano, richiama da altri quartieri. Abbiamo dovuto aprire più classi, c’è l’indirizzo sportivo, il potenziamento Stem...".

E alle superiori?

"Al Galilei-Luxemburg su 1.500 alunni il 34% è straniero. Anche in questo caso abbiamo tanti indirizzi e l’unica scuola di ottica di Milano, che richiama anche studenti da Pavia, Vigevano. Come ’Servizi culturali dello spettacolo’ con docenti di spicco".

Bisogna puntare sulla didattica innovativa per evitare il cosiddetto “white flight“?

"È una delle chiavi. Alla Paravia abbiamo introdotto il metodo Pizzigoni, che era stato creato per le famiglie che arrivavano dal Sud e parlavano solo il dialetto. È stato riattualizzato, ma è basato sempre sull’osservazione della realtà e funziona. Siamo seguiti dall’Università Bicocca: è un polo di sperimentazione didattica, attrae i docenti".

C’è molto turnover?

"Non più. C’è chi sceglie di venire qui. È faticoso, ma permette di innovare. Insegnare in un contesto così o dirigerlo non può essere un ripiego. La scuola è un presidio: qui la didattica viene dopo l’aspetto relazionale. Se non ’catturi’ gli studenti non puoi insegnare matematica. Ma non è tempo perso, permette di raggiungere tutti gli obiettivi".

Cosa preoccupa di più?

"La dispersione scolastica, esplicita e implicita. E per arginarla bisogna puntare su un organico stabile e sul rapporto con le famiglie, non sempre facile anche se molto sta cambiando. A giugno abbiamo invitato le famiglie dei futuri primini a visitarci: sono venute tutte".

Quote del 30% di stranieri in classe: che ne pensa?

"Impraticabile qui. Non è tempo di generalizzazioni, bisogna capire le singole realtà. Se ho tanti bimbi stranieri che abitano vicino non posso spostarli altrove".

E dello ius scholae?

"È importante discuterne. Anche se i nostri ragazzi non sentono questa problematica. Si sentono italiani, hanno altre priorità: pensare al futuro, al lavoro, a finire la scuola. Alla quale sono legati. Per chi è in condizioni di fragilità è l’unico modo per andare al cinema, a teatro, per imparare l’inglese e vivere esperienze che non potrebbero permettersi altrimenti".