Potenza, 9 novembre 2023 - Filomena Claps, 86 anni, ha seguito tutto della miniserie tv ‘Per Elisa’, il racconto del martirio della figlia scomparsa il 12 settembre 1993 a Potenza e ritrovata cadavere il 17 marzo 2010 nel sottotetto di una chiesa, la Santissima Trinità dove il 2 novembre è stata celebrata la prima messa dopo 30 anni.
Per quell’omicidio è stato condannato Danilo Restivo, in carcere in Gran Bretagna dove ha ucciso una giovane mamma, Heather Barnett, sua vicina di casa a Bournemout. Delitto commesso dopo quello di Elisa.
“Sono andata a quel processo, ho incontrato la figlia della vittima, una ragazzina bellissima - racconta al telefono la signora Filomena -. Ho guardato Danilo negli occhi, gli ho detto: io sono qua e ci sarò sempre. Lui non ha fiatato, non ha detto mai mezza parola, niente. Era seduto alle mie spalle. Non ha avuto il coraggio di guardarmi in faccia”.
Signora Filomena, ha guardato la miniserie tv dedicata a sua figlia?
“Ho visto tutto, sono stati bravissimi, hanno dimostrato un’umanità unica. Hanno trattato Elisa come una persona di famiglia. Sono entrati in punta di piedi con una delicatezza unica. Avevo timore, per me è stata una grande sorpresa”.
Restivo poteva essere fermato?
“Certo che poteva essere fermato. E quella mamma inglese non sarebbe morta. Per Elisa non si poteva fare più niente, lei non si poteva salvare più. Ma quella donna sì. È stato terribile incontrare la ragazzina, il dolore si è rinnovato“.
La storia di Elisa trent’anni dopo cosa dice all’Italia?
“Tanto, davvero tanto. Non ho mai inveito contro Danilo, che pure ha fatto quello che ha fatto. Ma i genitori? Quando in casa ci rendiamo conto che un figlio è malato, va curato. Bisogna aiutarlo”.
I femminicidi sono una piaga, numeri choc.
“E ogni volta per me è un grande dolore, rivivo la storia di mia figlia. Le persone vanno curate. Noi genitori ci rendiamo conto di quando i figli non stanno bene, hanno qualcosa dentro di loro che non va. E dovremmo intervenire. Ma questo non accade, difficilmente i genitori accettano i difetti dei propri figli”.
Pochi giorni fa è stata celebrata la prima messa nella chiesa dell’orrore. Ha protestato?
“No, non ero in condizione. Non volevo rivedere alcune persone che mi hanno fatto tanto male”.
Che cosa si aspettava?
“Avevo chiesto di non celebrare i sacramenti in quella chiesa perché c’è stato un omicidio. Quello, ho sempre detto, è il museo degli orrori, Elisa è rimasta là dentro per 17 anni. Nel sottotetto, tra la sporcizia. L’ho detto e lo ripeto, chiunque entrerà in quella chiesa dovrà guardare in alto e sotto i piedi. Perché là dentro c’è il sangue innocente di una ragazza di 16 anni. Io non passo davanti a quella chiesa da trent’anni”. Come famiglia avevate chiesto di ricordare Elisa?
“Certo, per me potevano fare tutto quello che volevano. Un centro antiviolenza, un museo... Qualcosa di bello. Invece là dentro nulla ricorda Elisa. E questo per me è un dolore enorme, enorme. Io volevo arrivare a un accordo. Ma non sono stati capaci di capire il dolore di una mamma, un dolore che dura da trent’anni. Io su quel dolore ho consumato la mia vita. E non mi arrenderò mai, mai”.
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