Roma, 30 novembre 2019 - La prima telefonata della rappresentante di classe è intorno alle 7.30, se non risponde nessuno è già un brutto segno: la scuola potrebbe essere chiusa. E scatta l’allarme nella chat di classe: "Sciopero". La procedura si ripete ormai quasi ogni venerdì – e comunque almeno due volte al mese – perché quasi a cadenza bisettimanale c’è uno sciopero proclamato, magari, da sigle sindacali molto piccole. Ieri per il quarto sciopero globale indetto da Fridays for future hanno aderito due sigle sindacali della scuola: l’Usb, Unione sindacale di base, che ha circa 2.679 iscritti e il Sisa, sindacato indipendente scuola e ambiente, che conta, addirittura, intorno ai 13 iscritti. Questi e altri dati sono contenuti in un report di Tuttoscuola che ha stimato l’impatto dei micro scioperi sul mondo della scuola e sulle famiglie.
Basta aderisca un’insegnante o una bidella perché, anche se gli altri intendono essere presenti, la scuola non venga aperta. Se il preside valuta che non si è in grado di assicurare il servizio decide di chiudere, talvolta anche in via preventiva. Così, perché sciopera un prof su cento, si perdono due milioni e mezzo di ore di lezione per un costo di 60 milioni di euro per lo Stato. Secondo Tuttoscuola nell’ultimo anno sono stati proclamati 12 scioperi, quasi sempre per iniziativa di piccole sigle sindacali: l’adesione è stata tra lo 0,50% e l’1,62%. Ma ogni volta molte classi non sono andate a scuola perdendo ore di lezione e causando tanti disagi alle famiglie.
Chiaramente è impossibile sapere il giorno prima, in modo da potersi organizzare con nonni o baby sitter, se lo sciopero ci sarà o meno. Per legge non lo si può sapere. Un accordo allegato al contratto nazionale di vent’anni fa, infatti, prevede che la comunicazione al preside sull’adesione allo sciopero sia "volontaria". In questo modo pochi scioperanti bloccano scuole intere. Due dati raccontano quanto il problema sia concreto: sono 177 i sindacati della scuola, 157 hanno meno di mille iscritti, 114 hanno addirittura meno di 100 iscritti. Quando le piccole sigle indicono uno sciopero si arriva ben lontani dal 2% delle adesioni, diversamente, ad esempio, da quanto è accaduto il 5 maggio 2015 quando per la manifestazione contro la riforma della Buona scuola varata dal governo Renzi il mondo della scuola scese in piazza, con il 65% delle adesioni. Nell’ultimo sciopero di cui si hanno a disposizione i dati, tramite la Funzione pubblica, quello del 10 maggio 2019, hanno scioperato in 5.700 circa tra personale docente e non docente su un milione e 100mila addetti.
"Quasi nessuno dichiara prima se ha intenzione di scioperare e comunque anche se dice non sciopero questa affermazione non è vincolante e può benissimo cambiare idea la mattina e aderire", spiega Antonello Giannelli, che guida l’Associazione italiana presidi. L’impatto di tutto questo è contenuto nella scuola media superiore perché un quindicenne può tornare a casa da solo ed è più facile gestirlo ma è invece devastante per la scuola dell’infanzia e la primaria. L’Anp chiede una "riflessione a livello politico" perché se lo sciopero è un diritto costituzionalmente garantito "andrebbe rivista la normativa che lo regolamenta nel settore pubblico dove diventa deleterio per l’utenza più fragile".