Mercoledì 2 Aprile 2025
ANNA VAGLI
Scene

L’omicidio di Chiara Poggi: Stasi condannato, ma il caso si riapre con Sempio

Impronte, DNA e una bici: le prove inchiodano Stasi, ma una terza indagine su Sempio riaccende il mistero

L’omicidio di Chiara Poggi: Stasi condannato, ma il caso si riapre con Sempio

L’omicidio di Chiara Poggi ha un colpevole: Alberto Stasi condannato in via definitiva a 16 anni di carcere. Lo ha stabilito la Cassazione. Lo ha ribadito la Corte d’Appello di Brescia dopo due richieste di revisione. Lo ha confermato anche la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, definendo equo l’intero processo. Una verità costruita da oltre quaranta magistrati tra atti, perizie, faldoni.

Eppure, quasi 20 anni dopo, Andrea Sempio è indagato per la terza volta. Più che un’indagine, sembra un’operazione chirurgica per tentare un’altra revisione a vantaggio di Stasi, che nemmeno ha presentato un’istanza formale. Per spostare la colpa su Sempio bisogna fare molto più che evocare un dubbio. Bisogna smontare, tassello per tassello, tutto ciò che ha condannato Stasi. Partendo col riscrivere l’orario della morte.

Perché Chiara è stata uccisa tra le 9:12 e le 9:36. A quell’ora, Sempio è a casa con il padre. Dopo, è a Vigevano. Scontrino o non scontrino, vale la prova contraria. E se davvero l’assassino è fuggito in bicicletta, bisogna ignorare che si trattasse di una bici nera da donna, identica a quella della famiglia Stasi. Perché Sempio ne possiede una rossa. C’è poi l’impronta sul tappetino del bagno: taglia 42, marca compatibile con le scarpe di Stasi. Sempio calza il 44. Sul dispenser del sapone, due impronte dell’anulare destro di Alberto. Non dei familiari. Le scarpe consegnate da Stasi agli inquirenti, diciannove ore dopo, sono pulite. Nemmeno una traccia. Nemmeno sui tappetini dell’auto. Dice di essersi fermato al secondo gradino, lì dove Chiara era già riversa.

Una perizia ha stimato la probabilità di non calpestare sangue in quel punto: 0,00002%. Gli esseri umani, ad oggi, non volano. E neppure 20 anni fa. Poi c’è la voce. La chiamata al 118. “Credo che abbiano ucciso una persona”.vNon dice “la mia fidanzata”. Lo ammette solo su domanda dell’operatore. È un linguaggio anaffettivo, costruito, inconsueto. La psicolinguistica lo spiega: chi è in shock autentico non filtra. Non omette il legame. Stasi invece e’ freddo. Distanziato. Non chiama da casa, ma dalla caserma. Non corre. Non tenta di salvarla. Si posiziona.

Chiara non ha lottato. Il suo assassino, lo conosceva. I colpi sono al volto, alla testa. Colpi che annientano l’identità. Per zittire. Infine, il DNA. Quello trovato sotto le unghie della vittima è stato giudicato non comparabile da tutte le parti, anni fa. Oggi si tenta una nuova lettura. Ma il DNA non è databile. Può restare per settimane. E Sempio, quella casa, la frequentava. Per accusarlo bisogna riscrivere tutto. Ed l’assassino di Chiara, ad oggi, è già stato condannato.