Giovedì 21 Novembre 2024
Anna Vagli
Scene

L’inspiegabile attrazione che ci spinge verso il male: l’omicidio di Sarah Scazzi

Nel nostro format video dissezioniamo i casi di cronaca nera più eclatanti, svelando i segreti delle indagini e il profilo psicologico dei colpevoli

Esiste un’attrazione inspiegabile che ci spinge verso il male. È come se, attraverso le vite di chi commette delitti, potessimo esplorare le nostre paure più profonde e toccare, anche solo per un attimo, il confine che separa il bene dal male. Da questa fascinazione nasce il nostro bisogno di osservare il comportamento umano spinto agli estremi e di trovare risposte che, forse, non ci saranno mai. È questo desiderio che ci porta a seguire le storie di crimini più efferati, come nel caso di Michele Misseri e Sarah Scazzi, che ha riaperto vecchie ferite con la recente serie Qui non è Hollywood.

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La figura di Michele Misseri ha sempre generato un enigma psicologico che sembra sfuggire a ogni logica. Perché un uomo che le prove scagionano continua a dichiararsi colpevole dell’omicidio di sua nipote? Trentasei magistrati, perizie e testimonianze dicono che l’ex bracciante è innocente rispetto all’azione omicidiaria, ma lui insiste. È una scelta che, agli occhi di molti, appare assurda. Ma guardando più a fondo, emerge un quadro psicologico in cui colpa e appartenenza si mescolano in un legame indissolubile.

Misseri è l’uomo sottomesso, l’anello debole in una famiglia dominata dalle personalità di Cosima e Sabrina. Confessare il falso, per lui, diventa una forma di sopravvivenza emotiva, una ricerca di connessione con una famiglia che, seppur disfunzionale, rappresenta ancora il suo unico riferimento. È come se, in questo auto-sabotaggio, trovasse una forma di stabilità, un legame con una realtà che conosce. Ma la confessione di Misseri non è solo un atto di sottomissione. Per un uomo abituato a vivere nella dipendenza emotiva, la colpa diventa un rifugio, una giustificazione alla solitudine che lo circonda.

Anche in carcere, continuava a cercare un contatto con le figlie, Sabrina e Valentina, nonostante queste lo avessero già ripudiato. Scriveva lettere piene di speranza, parole intrise di affetto e di disperato bisogno di perdono. Perdono per cosa? Per aver raccontato la verità? Lo zio più famoso di Avetrana non cerca giustizia, ma redenzione: un perdono che solo la sua famiglia potrebbe concedergli. Il perdono di aver rotto il patto di sangue secondo cui sarebbe stato lui a doversi assumere tutte le responsabilità. È una prigione mentale da cui, forse, Michele Misseri non riuscirà mai a evadere.