Giovedì 17 Ottobre 2024
Anna Vagli
Scene

Lo sguardo di Filippo Turetta: timido, freddo e distaccato. Ma cosciente di cosa ha fatto

Anna Vagli, nota criminologa, disseziona i casi di cronaca nera più eclatanti, svelando i segreti delle indagini e il profilo psicologico dei colpevoli

A prima vista, Filippo Turetta non desta sospetti. La timidezza, l’aria insicura, dipingono il ritratto di un ragazzo fragile, quasi trasparente. Ma dietro questa facciata di normalità si nasconde una mente oscura: quella di un narcisista covert. Non urla la sua superiorità, non la esibisce con arroganza. La cela dietro uno scudo di vulnerabilità apparente. Ma dentro di sé, Turetta si sente speciale, convinto che il mondo gli debba molto di più di quanto gli abbia concesso. La ferita che ha subìto, quella frustrazione profonda per i successi di Giulia Cecchettin, ha alimentato una vendetta silenziosa ma letale. Non poteva accettare che lei lo superasse, che la sua vita potesse sfuggirgli di mano. E così, ha cercato di riprendere il controllo.

Manca una settimana esatta alla prossima udienza e la scelta della difesa di non richiedere una perizia psichiatrica sembra voler suggerire che non ci siano spiegazioni cliniche o attenuanti per il suo comportamento. Ciò che ha fatto, lo ha fatto in piena consapevolezza. Ma se le parole tentano di costruire un’immagine coerente, è il linguaggio del corpo dell’assassino a raccontare una verità più profonda e disturbante. Durante l’interrogatorio trasmesso da Quarto Grado, il suo corpo ha parlato più forte di quanto le sue parole avrebbero mai potuto fare. Non una lacrima è scesa mentre ricostruiva i colpi inferti a Giulia. Con una penna in mano, ha simulato quei gesti letali con una precisione quasi meccanica, mantenendo il volto impassibile. Nessuna traccia di rimorso, nessun cenno di umanità.

Il suo distacco emotivo gridava la sua verità: nessuna colpa, nessuna vergogna. Ma è nel corpo che le vere emozioni emergono, anche quando la mente cerca di sopprimerle. Un gesto goffo, mentre porta il dito all’occhio, nel tentativo disperato di evocare un’emozione che non arriva. Le lacrime. Non un segno di pentimento. Per tutto l’interrogatorio, la testa di Filippo è inclinata verso sinistra, come a minimizzare il delitto. Il suo corpo sembra voler dire: “Non sono così pericoloso.” Ma lo è. E lui lo sa. Le labbra compresse raccontano di una rabbia trattenuta, di un disprezzo che non può essere celato, nemmeno mentre ricorda il regalo che avrebbe dato a Giulia la sera in cui l’ha uccisa. Le sue mani, fredde e calcolate, illustrano con gesti precisi un delitto pianificato nei minimi dettagli. È un distacco che fa sembrare tutto quasi giustificato, come se fosse inevitabile, quasi normale.

Il corpo di Turetta continua a rivelare ciò che le parole tentano di nascondere: una piena coscienza di ciò che ha fatto, ma un’incapacità totale di accettarne la responsabilità.