“So chi è stato a ucciderla, lo dirò al momento giusto”. Le parole della madre di Larimar Annaloro squarciano il silenzio che avvolge una morte carica di interrogativi. Un suicidio che non è un suicidio. Larimar, 15 anni, è stata trovata impiccata nel giardino di casa a Piazza Armerina. Ma la scena del crimine racconta una storia incoerente. Il collo segnato da una corda, i piedi e l’addome legati, le mani libere. Nessun segno di lotta. E quelle scarpe, pulite, nonostante il terreno fosse fangoso.
Sulla scena del crimine le coincidenze non esistono. Ogni elemento parla, ogni dettaglio è un pezzo del puzzle che compone la verità. Persino l’assenza di tracce, dove ci si aspetterebbe di trovarle, può diventare una prova. È il principio di Locard, pilastro della criminalistica, a guidarci: “Ogni contatto lascia una traccia". Quando due elementi interagiscono, lasciano qualcosa l’uno sull’altro. E allora, cosa ci dice la mancanza di fango sotto le scarpe di Larimar? Di solito, se una traccia manca, è perché è stata cancellata o perché ciò che vediamo non è la scena autentica. Le legature raccontano una dinamica insolita. Larimar aveva piedi e addome legati, mani libere. Non è una configurazione comune nei suicidi, ma lo è nei delitti. Le legature parlano di immobilizzazione, controllo. Qualcuno che priva un altro della possibilità di muoversi, di reagire.
Larimar era sola quando è morta? Oppure qualcuno l’ha costretta? Un omicidio mascherato da suicidio. Ma la scena del crimine non è l’unica prova. Anche ciò che non si vede può essere altrettanto eloquente. Larimar portava addosso un peso invisibile? Era vittima di bullismo o peggio, di revenge porn? La diffusione di immagini intime senza consenso è un’arma che uccide lentamente. Non lascia lividi, ma annienta. Parole, sguardi, commenti possono trasformarsi in catene.
È così che nasce la vergogna tossica, un’emozione che imprigiona, che ti fa sentire ’sporca’, senza valore, senza vie di fuga. E così che una mente giovane e vulnerabile può essere spinta verso il baratro. L’autopsia psicologica è uno strumento forense essenziale per ricostruire ciò che le parole non dicono. Bisogna indagare i comportamenti, le emozioni, le relazioni della vittima, i segreti che potrebbero averla schiacciata. La Procura per i minorenni di Caltanissetta indaga per istigazione al suicidio. Perché in queste tragedie la vittima non è mai davvero sola. C’è sempre chi spinge, chi manipola, chi induce.