“Il 29 gennaio,il giorno in cui inizierà l’appello, è lo stesso del compleanno di una bambina che per colpa di sua madre non c’è più. Il processo inizia il giorno in cui mia nipote avrebbe compiuto quattro anni. Se è un segno che sia un segno forte e mi auguro che nessuna sua nuova richiesta venga accolta. L’ergastolo Alessia lo ha dato a noi e a una bambina che ora si trova al cimitero”. Così Viviana Pifferi ha voluto commentare l’inizio imminente del giudizio di secondo grado contro sua sorella Alessia, una data carica di simbolismo e dolore, in cui la Corte d’Assise di appello di Milano dovrà confrontarsi nuovamente con le ombre di una tragedia.
La perizia del dottor Elvezio Pirfo, che in primo grado si è tradotta in ergastolo, ha evidenziato una grave alessitimia della donna, un disturbo che rende incapaci di riconoscere e rappresentare emozioni proprie e altrui, ma che non è sufficiente a spiegare l’assenza di protezione verso Diana. Alessia Pifferi sapeva cosa stava facendo. Prima di partire ha lasciato un biberon accanto alla figlia, un gesto che dimostra consapevolezza dei bisogni primari della bambina, ma anche una crudele freddezza nel decidere di ignorarli. Non era un’azione istintiva né impulsiva: la sua razionalità le ha permesso di pianificare bugie e alibi, come raccontare al compagno che la figlia era al mare con la sorella.
Una madre che non si è mai identificata come tale. Diana, per ammissione stessa della donna, era un ostacolo, un intralcio a quella vita che Alessia voleva vivere senza compromessi. Il suo comportamento rappresenta un drammatico esempio di devianza emotiva: una separazione netta tra il mondo interiore e la realtà relazionale. L’incapacità di attribuire valore affettivo a un legame così essenziale come quello tra madre e figlia è indice di una profonda distorsione nella costruzione della personalità.
Ed è proprio una tale frattura emotiva che, unita a una razionalità integra, ha permesso alla donna di compiere scelte calcolate e spietate, annullando qualsiasi spinta protettiva o senso di colpa. Nessuna patologia. La condotta della Pifferi è stata tanto più inquietante quanto consapevole. Vestiti, paillettes, serate, serate ludiche in compagnia di un uomo. Diana non era una priorità, non era nemmeno un peso sopportabile. La bambina era, per Alessia, l’intrusione definitiva in un’esistenza che desiderava vivere senza responsabilità, senza vincoli, senza amore.