Le "parenti" sono le più stranite. "Si sapeva, si sapeva. Troppi scostumati in giro, pensano più allo shopping che alle preghiere. Il 21 sarà drammatico come il 20", oracoleggia sottovoce una di loro. L’atmosfera, densa di attesa, finisce in un mugugno a fior di labbra. Triste, solitario y final, avrebbe detto Osvaldo Soriano, per raccontare quest’ultimo lembo d’anno in una Napoli trafitta di nuovo al cuore. Dopo la morte di Maradona ora è il turno del sangue, raggrumato come un sasso nell'ampolla.
Le "parenti di San Gennaro", continuano a intonare canti per far sì che torni al suo stato naturale, pronte a sventolare il fazzoletto bianco per annunciare il miracolo. Nell’immaginario popolare discendono dal Patrono e da Eusebia, la nutrice che ne avrebbe raccolto il sangue dopo la decapitazione. Sono chiamate "parenti", perché legate al Santo da una familiarità atavica, in tale confidenza da apostrofarlo "faccia ‘ngialluta" (dal colore dell’oro del busto) e, se necessario, rimproverarlo quando il prodigio tarda. Ogni ritardo è, infatti, un presagio negativo, una profezia di sventure. E stavolta Anna, la "capa delle parenti" non esita a predire come fosse una virologa del Cts: "Il virus resterà tra di noi per anni, questo vaccino non sarà sufficiente perché il Covid è un mostro. Siamo pessimisti, depressi e blasfemi: il Santo dovrà fare un grande sforzo per perdonarci".
Il prodigio del sangue non si rinnova. Alle 9 presso il Duomo di Napoli l’abate della Cappella di San Gennaro, Vincenzo De Gregorio, annuncia il disastro davanti ai 12 prelati cappellani. "Quando abbiamo preso la teca dalla cassaforte, il sangue era assolutamente solido e tale è rimasto", spiega con un’aria seccata come se Gennaro avesse voluto fare un dispetto a lui, al nuovo arcivescovo, don Mimmo Battaglia, e al cardinale Crescenzio Sepe che doveva festeggiare l’addio con l’ultimo garrito di drappi bianchi.
A settembre il sangue si era sciolto
Alle 9 nella cattedrale ci sono pochi fedeli. La data è considerata la "minore" delle tre (le altre due sono il 19 settembre, San Gennaro, e il sabato che precede la prima domenica di maggio con l’affollata processione), ma appena si diffonde la notizia, è come se un boato scuotesse le viscere dei vicoli: da Forcella e dai Decumani è un correre di gente con gli occhi terrorizzati, come fosse inseguita dai fantasmi.
Faccia Gialla squaglialo Fallo fallo stu miracolo Fallo fallo pe stu popolo È sango e nun è acqua È sango e nun è acqua, canta Enzo Avitabile riprendendo una vecchia preghiera popolare. Sì, perché se non si squaglia, quel sangue trascina con sé sventure e disgrazie, miserie e avversità. Nelle occasioni in cui è restato solido sono avvenute iatture per la città di Napoli e non solo: nel settembre del 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, nel 1973 l’epidemia di colera per le cozze killer, mentre nel 1980 il drammatico terremoto che devastò Napoli e l’Irpinia. L’abate De Gregorio getta acqua sul fuoco delle angosce: "Negli ultimi tempi a dicembre il sangue di solito si scioglie con ritardo. Ma la celebrazione dura un solo giorno, il 16. Se il miracolo avverrà domani 17 non lo sapremo". E Sepe consola: "Importante è sentirci uniti".
Si prega nel Duomo fino a sera, ma anche l’ultimo tentativo, quello delle 18,30, va a vuoto. La notte cala accompagnata da un senso di desolazione che si allunga sulla facciata neogotica ideata a fine Ottocento da Errico Alvino. "Nel 2019 il sangue si è liquefatto, poi nel 2020 c’è stato il finimondo – argomenta il marchese Riccardo Imperiali dei Principi di Francavilla, componente della Deputazione di San Gennaro –. Cosa allora significa questa chiusura del Patrono? Che c’è poco da scherzare, sicuramente ci sarà la terza ondata di Covid".